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Un horror classico del geniale Carpenter

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Nontutto il cinema di John Carpenter mi ha convinto. Specie quando, dopo i fortunati film horror degli Ottanta - "Fog", "Fuga da New York", "Christine la macchina infernale" - ha mostrato di voler indulgere nella ricerca del mostruoso, fuso con il thriller non sempre in modo equilibrato. Adesso, dopo qualche anno di silenzio (il suo ultimo film visto qui da noi, "Il seme del male", è del 2006), sembra tornare a un horror di fattura classica, con tutte le paure in platea difficili da contenersi, ma anche con delle proposte di personaggi da guardare molto più attraverso la loro soggettività che non affidandosi alla realtà in cui sembrano immersi. Dei personaggi che, per essere così costruiti e per funzionare narrativamente come Carpenter voleva, dovevano necessariamente avere fisionomie complesse se non decisamente multiple. Per farceli perciò incontrare, veniamo introdotti in un manicomio in cui seguiamo soprattutto le vicende di una giovane ricoverata, lì rinchiusa perché ha dato fuoco a una fattoria. Attorno ha altre recluse come lei; con alcune lega, con altre meno, presto ossessionata dal sospetto che via via qualcuna di loro venga uccisa da gente misteriosa o, forse, addirittura da un fantasma orrendo di donna che potrebbe anche essere proprio quello di una delle assassinate. Carpenter il mistero lo svela solo all'ultimo anche se, con un ulteriore pugno nello stomaco, ci nega astutamente un vero lieto fine. Arrivandoci comunque con uno stile limpido e quasi ricercato che, pur non lesinando gli allarmi, i terrori e le ansie, regge abilmente le fila di un racconto a più facce che, pur tra notti nere attraversate da continui tuoni e solo illuminate da lampi e fulmini, si snoda quasi per tutto il tempo nell'ambito di scenografie asettiche - le celle, le sale, i corridoi del manicomio - in cui tutto sembrerebbe proclamare una normalità assoluta. Se non fosse… Gli interpreti sono soprattutto facce, fedelmente al servizio degli effetti cui Carpenter voleva indirizzarle. Vincendo sempre la partita.

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