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Falsi ma belli i gioielli d'imitazione

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diKATIA PERRINI Ancora una volta la pioniera fu lei: Coco Chanel. E chi sennò? Fu lei nel 1928 a lanciare in Europa i «gioielli fantasia». Niente di più lontano dalla chincaglieria, nulla di più simile, in quanto a inventiva e ingegno, a un prezioso vero e proprio ma realizzato in materiali minori e pietre false. Poi vennero gli orecchini copiati dagli originali di Cartier, i gioielli trasformabili simil-Bulgari, le spille a mazzo di fiori come quelle vere di Mellerio dit Meller. La bigiotteria, in verità, nacque in quel di Providence (Rhode Island), Stati Uniti, a metà dell'800, dove venne realizzato per la prima volta il «bagno galvanico», ossia la doratura per elettrolisi come «surrogato degli ornamenti preziosi ad uso della nascente nuova borghesia», spiega Mariastella Margozzi, direttore del Museo Boncompagni Ludovisi (in via Boncompagni, 18). Qui sino al 15 maggio resterà in mostra la collezione di 600 bijou di Nicoletta Pietravalle sotto il titolo «Falsi ma belli. Il gioiello d'imitazione 1900-1940». Accompagnati da una serie di abiti della collezione del museo e da foto e cartoline dell'epoca, i pezzi parlano di una moda che segue il veloce mutamento del gusto senza il rischio economico che deriva dall'eccentiricità dell'oggetto. Oro e platino, accaparrati dai fabbricanti di munizioni, lasciano così lo spazio ad argento, peltro, ottone, acciaio cromato. Ugualmente belli e di tendenza, fatti apposta per soddisfare la vanità femminile, ma a costi contenuti. Ieri come oggi. Ed è forse qui la contemporaneità di questa esposizione tutta da godere.

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