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Il tetto ai rimborsi svuota i Municipi

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il sindaco di Roma Gianni Alemanno

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C'è chi lo ha già battezzato «emendamento ammazza Municipi» e, a dire il vero, rende bene l'idea. Per questo il decreto «Millepoltrone» all'esame del presidente della Repubblica, nella parte che riguarda Roma Capitale, riveste senza dubbio il carattere d'urgenza. Diversi consiglieri municipali e comunali stanno infatti iniziando a disertare le sedute dei Consigli perché «costretti» ad andare in ufficio. In pochi si sono accorti del «pasticcio» passato con il Milleproroghe a fine febbraio: l'inserimento del tetto ai rimborsi al datore di lavoro per gli eletti nei consigli municipali e nell'Assemblea capitolina, porterà presto se non corretto, alla paralisi amministrativa della Capitale. Perché? Il tetto pari a un quarto dello stipendio del presidente del Municipio al datore di lavoro del consigliere che si assenta dal lavoro significa modificare sensibilmente natura e opportunità politica. A conti fatti un dipendente di una società privata può assentarsi solo per circa 750 euro al mese. Un tetto, valido sia per i municipali sia per i comunali, inserito per tagliare le spese del Campidoglio e consentire così il mantenimento dei consiglieri comunali a 60 e allargare la giunta a 15. Peccato però che non solo la somma sia del tutto insufficiente a garantire la presenza degli eletti nei consigli e nelle commissioni ma che sia entrata in vigore già da questo mese. Non tutto però è pretestuoso. La classe dei «furbetti» infatti comprende anche i municipali. In alcuni casi il Campidoglio si trovava a dover rimborsare anche fino a 8mila euro al mese al datore di lavoro di un consigliere di uno dei 19 parlamentini. Troppo. Per questo la maggior parte degli eletti non è contraria al tetto, purché garantisca la rappresentanza. «Prima del Milleproroghe non vi era alcun limite ai rimborsi al datore di lavoro - ricorda Lucio Monacchi, consigliere del Pdl al XVII Municipio - adesso c'è un limite risibile che permette nella migliore delle ipotesi di frequentare i luoghi istituzionali soltanto per sei giorni al mese. Possibile che non si possa trovare un limite più congruo? La proposta di fissare il tetto a tre quarti dell'indennità del presidente non solo garantirebbe l'agibilità politica degli eletti ma eviterebbe una paralisi amministrativa altrimenti inevitabile. Per questo l'urgenza del decreto esiste, eccome». Portare il tetto a tre quarti significa per il datore di lavoro privato di un consigliere contare su un rimborso di circa 1.700 euro per i municipali e 2.400 per i comunali e al Campidoglio ottenere comunque un congruo risparmio per l'eliminazione dei «furbetti». Sarà sufficiente a convincere il Quirinale? In caso negativo non si esclude il ricorso alla Corte costituzionale e il blocco dell'intera riforma per tornare allo stato «ante». Il tetto ai rimborsi ai datori di lavoro per gli eletti vale, infatti, solo per Roma. E una Capitale discriminata è un argomento assai valido da portare all'Alta Corte.

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