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Dall'Fbi alla Questura il poliziotto negoziatore

Il dirigente dell'ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico Raffaele Clemente

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Il ragazzino killer di 15 anni, piostola in pugno, chiuso in casa all'Esquilino dopo aver sparato a madre e padre. Il cecchino ex ufficiale dell'Esercito, tiratore scelto, Rambo armato fino ai denti asserragliato nel suo appartamento di Guidonia dopo aver ucciso due persone e ferite altre otto che erano in strada. E ancora. Il tizio barricato nell'agenzia di scommesse Snai a Porta Furba col direttore in ostaggio. Sono casi estremi accaduti davvero che hanno tenuto Roma col fiato sospeso. Situazioni rare e maledette in cui un investigatore deve saper trattare col diavolo cercando di tirarne fuori acqua santa. La missione è affidata a una figura che cammina sulla linea di confine tra follia e ragione, avendo come interlocutore chi in quel momento ha perso il lume precipitando in una dimensione cupa in cui non vede ritorno. È il «negoziatore». Soggetto che dalla cronaca è sconfinato nello spettacolo, ispirando film e letteratura. Nella Questura di Roma ha un nome e cognome. Si chiama Raffaele Clemente, dirigente dell'Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico. Lui stempera il protagonismo e dice che «tutti i giorni ogni operatore delle forze dell'ordine si trova a negoziare, è mediatore di tensioni sociali». Sulla carta però Clemente ha fatto qualcosa in più. Quand'era all'Ucigos (Ufficio centrale per le investigazioni e le operazioni speciali) ha avuto a che fare con l'Fbi statunitense, coi manuali del «negoziatore». «In quegli anni - ricorda - c'erano il terrorismo e i sequestri di persona da parte di estremisti palestinesi». Oggi lo scenario è meno internazionale e più metropolitano. Con protagonisti del crimine come i due rapinatori dell'altro ieri che sono entrati in banca a piazzale delle Province è hanno tenuto in ostaggio una decina di persone. «Le parole magiche - spiega il dirigente - sono dialogo e speranza. Chi commette gesti estremi si sente in un vicolo cieco. Senza più legami e futuro. Chi negozia invece deve riportarlo coi piedi per terra, dargli la speranza reale che un giorno possa tornare a casa e ancorare la sua mente all'immagine che dalle sue azioni dipendono lo stato d'animo e le sorti di altri che lui conosce. Per esempio, col quidicenne parricida dell'Esquilino feci sedere accanto a me sua zia. Gli dicemmo che non aveva ucciso ma solo ferito i genitori, la donna lo rimproverò e lui mollò la pistola. Per questo - continua - è assai importante aprire un canale di dialogo. Un assassino però è diverso da un disagiato mentale. Le parole che si usano con l'uno non valgono per l'altro. Dialogare col soggetto vuol dire soprattutto prendere tempo, acquisire informazioni da chi lo conosce o lo ha in cura. Sapere la sua situazione familiare e di lavoro. Inoltre il negoziatore - prosegue - non deve avere l'autorità per venire incontro alle richieste del soggetto. Ma deve ascoltare, chiedere e riferire. In certi casi - rivela Clemente - anche il cibo può avere la sua parte. Un sequestratore è su di giri, sottoposto a forte stress. Mangiando il suo organismo stimola la produzione di endorfine che riducono la tensione». Ma c'è anche il killer «terminator». «Chi conosce il ruolo del negoziatore - spiega - è pronto a ucciderlo. È quello che poteva accadere a Guidonia con l'ex ufficiale dell'Esercito». In quel caso Clemente aveva già dato ordine ai Nocs di sparare.

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