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"Ha ucciso con crudeltà Carcere a vita per Busco"

Il pm Ilaria Calò

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Il massimo della pena, carcere a vita. L'accusa chiede l'ergastolo per Raniero Busco. Ha ammazzato lui Simonetta Cesaroni, il suo Dna è l'unico trovato nell'ufficio dell'Aiag in via Carlo Poma. E l'ha fatto con l'aggravante della crudeltà, perché per uccidere bastavano tre fendenti. Gli altri 26 rappresentano una sevizia. La seconda parte della requisitoria, quella relativa alle perizie tecniche, «va in onda» nell'aula-bunker di Rebibbia senza il principale protagonista. L'imputato è a letto con l'influenza e, per la prima volta, non assiste al processo. La ricostruzione del pm Ilaria Calò è precisa e dettagliata. Anche se sulle consulenze scientifiche c'è già stata battaglia fra lei e la difesa, che ha contestato molte delle conclusioni del Ris di Parma. Ma Calò non ha dubbi. Davanti ai giurati popolari della terza Corte d'Assise presieduta da Evelina Canale (giudice a latere Paolo Colella) il pubblico ministero elenca le prove contro l'ex fidanzato della vittima. E ripercorre il «film» del delitto. Tra i due non c'è colluttazione prima dell'aggressione mortale. L'approccio sessuale vede Simonetta consenziente fino al morso sul capezzolo sinistro. Allora la ragazza reagisce. L'assassino, per tutta risposta, le sferra un violento ceffone al volto a cui seguono i colpi letali con un'arma da taglio. In precedenza, però, il killer deposita sul reggiseno e sul corpetto della poveretta il suo materiale biologico (per l'accusa saliva, per la difesa non precisato), che è compatibile con il dna di Busco «al di là di ogni ragionevole dubbio». L'imputato è l'unico al quale corrisponde il profilo genetico: il Ris l'ha confrontato con quello delle altre 30 persone coinvolte nella giallo ventennale e con altri 33 mila codici genetici nella sua banca dati. A corrispondere è anche la traccia sul seno della dentatura di Busco, che non ha subito variazioni per 18 anni a partire dal 1990. Una morfologia dentaria che è «unica, stabile e compatibile». In più, il morso è contestuale all'assassinio e non può risalire all'ultimo incontro fra i due fidanzati, avvenuto sabato 4 agosto. Infine, la madre di Simonetta e una sua amica la vedono nuda il giorno prima del fatto e non ha segni sul petto. E, sempre la mamma, riferisce che la ventunenne si cambiava spesso abiti e biancheria intima. E ancora. Non c'è lavaggio del sangue sul pavimento, che è poco perché l'emorragia si sviluppa soprattutto internamente, ma solo un «passaggio a secco» con gli abiti dela giovane. L'aggressore imbratta la porta della stanza dell'omicidio per uscire e si dà alla fuga con quei vestiti sporchi di sangue e alcuni oggetti di Simona. Il sangue, però, è un indizio nebuloso. Quello all'esterno della porta della «camera della morte» all'epoca fu individuato come gruppo zero, lo stesso di Busco e della Cesaroni. Quello all'interno, prelevato con un'unica garza sul legno e sulla maniglia, è contaminato. Analisi più recenti, tuttavia, avrebbero permesso di stabilire che è un mix ematico dei due fidanzati. La valutazione di queste prove scientifiche porta, per esclusione, a un solo colpevole: il meccanico di Morena. Dal sangue è stato estratto il suo dna parziale e «non vi sono spiegazioni alternative»; sugli indumenti della vittima non c'è un dna maschile diverso. Perciò la surreale ipotesi alternativa è che «un'entita incorporea» morde Simonetta al seno, lascia la traccia di saliva e accoltella la ragazza senza lasciar cadere neppure una goccia di sudore (e siamo in piena estate) sul corpetto; né esistono alternative «logiche o lecite» al fatto che Busco dà il morso al quale corrisponde la saliva sugli indumenti. Conclusioni? È stata raggiunta con «piena certezza» la prova di responsabilità dell'imputato e sono state «escluse tutte le ipotesi alternative». Per Busco, quindi, il pm chiede la condanna all'ergastolo. Perché per uccidere Simonetta Cesaroni bastavano tre coltellate, le altre 26 rappresentano un'aggravante, in quanto atto di crudeltà. Specialmente quelle ai genitali, una sorta di «rappresaglia», e agli occhi, che hanno il «significato simbolico di garantire il silenzio testimoniale». L'appuntamento è per il 14 gennaio.

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