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Più forte del dolore in nome del figlio

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Solouna settimana dopo avrebbero festeggiato il compleanno di Ale. Stavano pure organizzando la festicciola. E con il marito Claudio già pensavano a fargli due sorprese veramente super: gli scarpini nuovi fiammanti e i biglietti per Roma-Real Madrid di Champions. Inutile sottolineare che il calcio era la grande passione del figlio. Invece tutto è precipitato in un gorgo nero. Poco dopo l'incidente e la consapevolezza che il ragazzo avesse subito una botta micidiale e che stava veramente male, la corsa in ospedale, le domande di rito: nome, cognome indirizzo. E il terribile sospetto: perché non mi chiedono se è allergico a qualche medicina? Infine la certezza, dopo due ore e mezzo di angosciosa attesa, di averlo perso per sempre. E mentre Claudio, il padre di Ale urlava «No, no. . . non mi dite cosi non è possibile» Delia tramortita dalla notizia, sveniva per il troppo dolore. All'improvviso il mondo le è diventato tutto nero. Poco dopo si è ritrovata su una barella con la consapevolezza che quell'orribile incubo nel quale si senitiva precipitare, come in un pozzo senza fondo, era la tragica realtà. «Siamo usciti di casa con il nostro ragazzo per tornare con una vittoria, con la sua felicità stampata sul volto e invece ci seguiva solo una borsa da calcio» ha scritto, poi, la mamma di "Ale per sempre" in una lettera accorata pubblicata nel sito dell'Associzione Alessandrobini.org. Per la sicurezza nello sport. Perché da quel giorno terribile Delia e il marito Claudio non hanno mai smesso di lottare affinché la verità sulla morte di Alessandro venisse fuori. Quei genitori non si sono chiusi nella torre eburnea del loro immenso dolore. Hanno chiesto e avuto giustizia. Sorretti dalla certezza che il figlio Alessandro dovesse comunque essere risarcito. «Chiedevamo solo una condanna. Ci interessava che fosse accertato che qualcuno ha sbagliato. Che nostro figlio non è morto per caso». Dalla morte di Ale i Bini, inoltre, conducono una battaglia quotidiana affinché non si ripeta mai più una tragedia del genere e nessun altro genitore riviva l'orrore che stanno vivendo loro. Così hanno creato un'associazione che porta il nome del figlio. La madre di Ale è la presidentessa di questa onlus che, appunto, si batte per portare sicurezza nello sport. Promuove un memorial di calcio in ricordo del giovane calciatore, assegna borse di studio e raccoglie testimonianze sulle situazioni non a norma dei campi di calcio nel Lazio. Dopo la sentenza che le ha strappato un sorriso ha comunque ripetuto emozionata: «Nessuno mi ridarà mai mio figlio. Quello che contava non è che quella persona andasse in carcere o meno, ma che sia stata accertata la sua responsabilità». Chissa se, in quell'aula di Tribunale dopo aver assaporato la vittoria, ha sentito anche posarsi lieve sulla sua guancia, quel bacio che aveva chiesto al figlio prima di vederlo raggiungere i compagni di squadra per la partita che gli sarebbe costata la vita: «Me lo dai un bacio?». E invece, quel timidone di Ale s'era schernito davanti agli altri non aveva proprio voluto farlo «Ma te li do sempre i baci...non mi far vergognare». Ecco a noi piace pensare che, invece, ieri mattina, quel bacio rimasto sospeso sia arrivato finalmente a destinazione!

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