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Brignano show

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diTIBERIA DE MATTEIS «Presentiamo una commedia, simbolo dell'estro romano e italiano, che non è leggera manco per niente sia per il finale tragico sia per il fatto di assicurare lavoro per quattro mesi in un contesto in cui galoppa la disoccupazione» dichiara Enrico Brignano a proposito del suo «Rugantino», in scena dal 24 novembre a metà febbraio al Sistina, che recupera la regia originale di Garinei & Giovanni in una nuova versione firmata dal comico capitolino, impegnato anche nel ruolo del protagonista. Si confermano le coreografie di Gino Landi e le musiche di Armando Trovajoli che dirigerà l'orchestra, formata da venti persone in buca, la sera della prima, lasciando poi le consegne a Federico Capranica. Cultura e popolarità sono gli ingredienti di un'operazione scenica che rende onore alla commedia musicale di pura fattura italiana, collaudata molto prima dell'attuale moda del musical. Come sarà il suo Rugantino? «Ho cercato di arginare la mia personalità anche se è difficile quando si ha seguito di pubblico con gli show e con la televisione. Volevo neutralizzarmi senza snaturarmi perché comunque sono sempre io e non sarebbe nemmeno giusto per chi ha piacere di riconoscermi. Ho affrontato Rugantino in modo amichevole: "Lasciami i tuoi panni, cercherò di vestirli al meglio". C'è più Brignano nella messinscena che non nel personaggio. Qualcuno ha detto che sarà "Brigantino", ma invece ho voluto rispettare la tradizione, filtrandola attraverso la mia esperienza. Recitiamo battute scritte da geni e facciamo cantare la platea su dolci note mai passate di moda, perché avremmo dovuto cambiare? "Roma nun fa' la stupida stasera" la sanno anche a Manhattan!». È vero che da piccolo pensò di fare l'attore proprio vedendo questo spettacolo? «Sì e dovrei restituire alla mia famiglia i soldi del biglietto che sono stati spesi molto bene! Spero tanto che i genitori accompagnino i figli, togliendoli dalla televisione e da internet, ad assistere a questa storia live che parla d'amore, di sangue, di passione, ma anche di morti. I francesi ci hanno portato via la Gioconda, ma ci hanno lasciato la ghigliottina e la morte è una faccenda molto romana, come è evidente dall'imprecazione o augurio con cui spesso esprimiamo i nostri commenti, evocando i parenti scomparsi nostri o altrui!». In che modo ha recuperato la regia originale? «Abbiamo rinnovato la scenografia autentica con il doppio girevole e abbiamo restaurato alcuni costumi. Gnecco indossa i pantaloni che furono di Aldo Fabrizi. Vorrei trasmettere quello che ho ereditato da Pietro Garinei. Non mi ha mai passato direttamente il suo scettro, ma mi sono sentito di afferrarlo dando a questo lavoro la sua impronta nel segno di un totale rigore. Il testo, poi, è stato rispolverato in maniera attenta alla tradizione romanesca di rione e non involgarita dal linguaggio di borgata. È stato un impegno immenso: 40 giorni di prove giornaliere. Ho visto più Maurizio Mattioli di mia madre, tanto mi fa incazzare allo stesso modo... Al suo Mastro Titta, per esempio, ho aggiunto un tratto malinconico e una maggiore autorità». Con quale criterio ha selezionato la compagnia? «Su provino. Nessuno è passato sotto a una scrivania, ma solo sopra per lasciare il curriculum, senza raccomandazione. Siamo diventati amici perché sono partigiano ed è così che amo lavorare». Il confronto con i colleghi del passato la spaventa? «Nelle oltre mille repliche di "Rugantino" si sono susseguiti Manfredi, Montesano, Mastandrea, La Ginestra e tanti altri. L'ha recitato persino Celentano. A Roma possiamo farlo tutti: "Semo genti screpanti che ce sanno fa'!". La mia vera responsabilità è verso il pubblico che rinnova ogni volta la sua fiducia. Il teatro è la sfida più alta e più rischiosa. Chi compra il biglietto senza vedere prima il cammello non va deluso!». È vero che ha regalato una felpa di «Rugantino» al sindaco Alemanno? «Sì. Dietro c'è la battuta: "Roma ce semo, aiutame tu!"».

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