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Un'agonia lunga 17 minuti

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Maricica Hahaianu, l'infermiera romena aggredita nella metro Anagnina

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Poteva essere salvata. I soccorsi sono stati chiamati in ritardo, tanto che è rimasta 17 minuti in terra senza che nessuno l'aiutasse. Le accuse sono contenute in un video di 22 minuti in mano alla magistratura, che indaga sulla morte dell'inferimera romena Maricica Hahaianu, e alla difesa del ragazzo accusato di aver ucciso con un pugno la donna alla stazione Anagnina. Ma non finisce qui. Nella tragica vicenda potrebbero spuntare ulteriori ipotesi di reato. Non contro il giovane Alessio Burtone, chiuso in una cella in isolamento, ma contro chi quel giorno, era l'8 ottobre, non avrebbe soccorso la donna. Dalle immagini registrate dalle telecamere a circuito chiuso si vedono infatti molte persone che si avvicinano al corpo in terra della romena: in pochi, in base a quanto si vede dal video, hanno cercato di soccorrere l'infermiera e avvertire il 118. Proprio per questo due giorni fa il magistrato ha effettuato un altro sopralluogo alla stazione Anagnina. Non è escluso infatti che possa essere ipotizzato anche il reato di omissione di soccorso nei confronti di alcuni dei passanti che hanno soltanto guardato la donna in terra e poi se ne sono andati.   «Chiederemo che siano svolti accertamenti medici in sede di incidente probatorio per verificare se Maricica si sarebbe potuta salvare se fosse stata chiamata subito l'ambulanza», ha tuonato l'avvocato di Burtone, il penalista Fabrizio Gallo. La donna, secondo quanto si vede nel video, per molti minuti tenterebbe di chiedere aiuto, tanto da toccare le gambe di un passante, muovendo i piedi e le braccia. «Guardando le immagini è evidente che la donna non è morta sul colpo - ha spiegato il legale di Alessio - ritengo a questo punto che si possano dare gli arresti domiciliari al mio assistito». Il colpo è stato inferto da Burtone, in base all'orologio digitale sul video, alle 16,35 e alle 16,52 arriva il barelliere. In quei minuti si vedono anche alcune persone che indossano divise militari. Adesso sono in corso indagini per capire quando è partita la chiamata al 118. «Ho sempre detto la verità, vorrei che un giudice mi credesse, non volevo fare del male alla signora Maricica», ha ripetuto ieri dal carcere il giovane.

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