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Il vero Van Gogh

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Vincent Van Gogh

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Le prevedibili folle di visitatori che daranno l'assalto alla grande mostra di Vincent Van Gogh che oggi si apre al pubblico nel Complesso del Vittoriano resteranno sorprese. Non troveranno il Van Gogh dei luoghi comuni, l'artista maledetto, il folle visionario che avrebbe dipinto in preda a un raptus incontrollabile. Scopriranno invece il vero Van Gogh, un artista votato a una pittura intesa come missione sociale ma anche un uomo di profonda cultura artistica e letteraria che parlava varie lingue, fra cui l'inglese e il francese e che era dotato di una prodigiosa memoria visiva. È quindi quanto mai azzeccata la scelta della curatrice Cornelia Homburg di accostare ai settanta tra dipinti, acquarelli e lavori su carta del genio olandese anche 40 opere degli artisti che furono per lui costanti stelle polari di riferimento: da Millet (che egli chiamava addirittura «padre») a Pissarro, da Cézanne a Gauguin e Seurat. Fra questi capolavori spiccano ad esempio lo struggente «I raccoglitori di fieno» di Millet, dal Louvre e «Lavandaie al Canal Roubine du Roi» di Gauguin, dal Moma di New York. Alessandro Nicosia, che ha realizzato la mostra (aperta fino al 6 febbraio) con la società Comunicare Organizzando, ha coronato il sogno di una vita riportando Van Gogh a Roma dopo 22 anni. Così, una delle scelte vincenti della mostra è quella di aver individuato un tema originale che spazza via ogni retorica sul genio maledetto: l'amore di Van Gogh per la campagna intesa come ambiente rassicurante e immutabile e sull'altro versante il suo interesse per la frenetica modernità della città. Se l'artista olandese avesse però dovuto scegliere fra l'una o l'altra non avrebbe avuto dubbi: «Non si deve essere un uomo di città – scrive al fratello Theo nel 1883 – ma un uomo di campagna, per quanto civile». In ogni caso nei suoi capolavori entrambe sono trasfigurate da una pittura che a ogni aspetto del mondo dà un'anima vibrante e appassionata. E spesso esse convivono, come nella strepitosa anticipazione espressionista del «Seminatore» (1888) dell'Hammer Museum di Los Angeles: il contadino giallo con cappello rosso si staglia su un blu abissale e compie quasi religiosamente il proprio lavoro mentre sullo sfondo emergono le ciminiere delle fabbriche moderne. È impossibile poi dimenticare i cipressi inquieti e animati come persone nel capolavoro proveniente dal Kroller-Muller Museum di Otterlo. Oppure il folgorante autoritratto, prestato dal Rijksmuseum di Amsterdam, che buca il nostro sguardo per cambiarci la vita.

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