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I periti dell'accusa divisi sul Dna di Busco

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.I consulenti tecnici dell'accusa spiegano come hanno raccolto il dna dal «baffo» di sangue lasciato dall'assassino sul lato interno della porta della stanza in cui venne trovato il cadavere di Simonetta Cesaroni. Il generale ex Ris Luciano Garofalo, il maggiore Marco Pizzamiglio e il direttore dell'Istituto di medicina legale della Cattolica di Roma Vincenzo Pascali disquisiscono su alleli, microfiler ed effetti stocastici (in matematica l'aleatorietà di una variabile). E arrivano a questa conclusione: la traccia è di sangue, la componente maggioritaria è della vittima, quella minoritaria potrebbe essere maschile. E l'analisi non consente di escludere la presenza di Raniero Busco sul luogo del delitto. Insomma, l'ormai ventennale baffo ematico non è del tutto compatibile, non è del tutto escludibile ma è l'unico che abbia qualche coincidenza biologica con il dna dell'imputato. Mentre non ne ha con quello delle altre 28 persone coinvolte nel caso e sottoposte ad esame, tra cui Volponi, Caracciolo di Sarno e Vanacore. Ma una crepa fra i periti del pm si apre quando l'avvocato di Busco, Paolo Loria, pone le sue domande. Pascali precisa che lui non ha partecipato a questa parte del lavoro peritale e che, se lo avesse fatto, non avrebbe comparato il dna dei singoli personaggi ma la «mescola sperimentale» risultata dal loro sangue e da quello di Simonetta insieme con il mix sequestrato sulla porta. Altro capitolo riguarda l'ex datore di lavoro della ragazza uccisa, Salvatore Volponi, che anche ieri era assente «giustificato» da un certificato medico e che sarà sottoposto su ordine del tribunale a perizia psichiatrica da parte dello psicologo e criminologo Piero Rocchini per stabilire se è in grado di testimoniare o no. L'appuntamento è giovedì 7 ottobre.

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