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I timori della vigilia si sono avverati.

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L'annunciodello slittamento delle lezioni si rincorre di facoltà in facoltà. Prima Ingegneria, poi Chimica, e Lettere e, dopo l'assemblea nazionale dei ricercatori di venerdì prossimo, sarà esteso a tutto l'ateneo. I duemila ricercatori a tempo indeterminato non sono in sciopero, però! Semplicemente non hanno dato la loro disponibilità ad aprire i nuovi corsi per protesta contro il ddl Gelmini. Chiedono che la loro attività didattica venga riconosciuta e dunque valutata in un eventuale concorso per diventare associato. Tra i due contendenti (i prof e il governo) ci sono però gli studenti, quelli che vorrebbero cominciare a frequentare l'università e s'appellano al diritto allo studio. Sono le matricole ancora piene di entusiasmo e di aspettative, sono quelli che non possono permettersi di saltare sessioni d'esame, sono i fuorisede. Quelli di destra, poi, non vogliono subire passivamente il diktat dei prof. I blocchi di didattica ed esami «sono incivili» sostiene Azione universitaria. Che promette battaglia. Perché come il cittadino che paga le tasse ha diritto di ricevere servizi idonei così lo studente che paga le salatissime rette universitarie e l'affitto per un posto letto ha diritto a frequentare le lezioni, a sostenere gli esami di profitto e a completare il proprio percorso accademico nel miglior modo possibile. Chiedono, così, di ripristinare la legalità. I prof in agitazione, secondo loro, sono «zavorre dell'università». Li chiamano baroni. Insomma ognuno ha le sue ragioni.

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