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Diecimila.

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Pericolosaper le possibili infezioni, lacerante per i futuri rapporti sessuali e la fertilità, problematica in caso di parto. Eppure dal 1996 a oggi al San Gallicano migliaia di donne sono state curate per un'infibulazione effettuata con metodi grossolani, senza anestesia, con coltelli, lame di rasoio, vetri rotti o forbici, e senza precauzioni igieniche. Lo rivela Aldo Morrone, direttore dell'Inmp (Istituto Nazionale per la Promozione della Salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie nella povertà), che ha sede nell'ospedale di Trastevere. Tutto ciò sebbene l'infibulazione sia dal 2006 un crimine punito con la reclusione fino a 16 anni. Le diecimila passate dal S. Gallicano provenivano soprattutto dall'Africa dove questa «tradizione», slegata da dettami religiosi, è radicata. Ma anche in Italia, «ci sono medici e le anziane delle comunità che, a pagamento, praticano l'infibulazione. Ce ne accorgiamo solo quando le donne vengono al nostro ambulatorio e osserviamo danni recenti che fanno pensare a un intervento di questo genere». Il fenomeno «paradossale» è che molte adolescenti nate in Italia da genitori immigrati o venute qui da piccole «desiderano» subire questa mutilazione una volta raggiunta la maggiore età, malgrado i colloqui con i mediatori culturali. Tradizioni, dicevamo. Alcune vanno rispettate. Nessuno, però, ci costringe ad avere rispetto per la derocia dell'uomo-padrone sulla donna-schiava. Anche se la vittima è d'accordo con il suo carnefice.

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