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Nel campo di Tor de' Cenci a piedi nudi tra bar e Mercedes

Campo nomadi

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Tor de' Cenci. Ore 13. Dentro il campo nomadi. Quello che il Comune vuole sgombrare. «Allora, è pronto panino?». Macché. «Meglio provare al blocco tre, dove c'è l'altro bar e meno fila», consiglia Samet. Del resto qui, tra una baracca e un materasso, lui ci vive da quindici anni con moglie e tre figli. Samet Hrustic è bosniaco. Un nomade. Il campo è la sua patria. È qui, lontano dalle case dei romani, assieme ai suoi 330 fratelli, e si sente sicuro. Dorme nel secondo dei tre blocchi, al confine con i nomadi macedoni. A quest'ora, come ogni giorno, è al bar. Birra due euro. Coca e acqua uno. Salsiccia tre. La scelta è vasta. L'accampamento è ben equipaggiato. Sporco ma equipaggiato. C'è un miniparcheggio. In un box fatto di cartone brilla una Mercedes Clk vecchio modello. Mentre tutto il resto sempra un set cinematografico bruciato a metà. Coperte a terra, mobili rovesciati. I sedili delle auto fuori casa per rilassarsi e ammazzare il tempo. Dentro, oltre l'uscio, non manca nulla. Tv, musica, bagno. Si dorme per terra e si cammina scalzi. Ma è un'usanza. Tra le viuzze si incrociano i bambini che corrono verso un parco giochi improvvisato. C'è uno scivolo. E due carrelli della spesa per fare a gara a chi arriva in fondo. Samet mangia. È appena rientrato da lavoro. Raccoglie ferro per strada, nei cassonetti. Poi vende tutto ad Acilia con tanto di ricevuta fiscale. Si possono guadagnare tra i 1500 e i 2000 euro al mese, spiega lui. Ma non basta. Sabato e domenica carica il suo furgone e va sotto ponte Marconi. Vende libri usati, vecchi vestiti, piatti, antichità: altri 150 euro a week end. I suoi due figli maschi, di 25 e 22 anni, sgobbano tutto il giorno con lui. Merima, la piccola di 20, cittadina italiana, è invece assunta all'opera nomadi. «Non vogliamo andare via di qua - dice Samet -, è nostra casa. Se ci portano da altra parte e stiamo con altri nomadi poi facciamo guerra».

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