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"Giovinezza al potere"

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Sit-in organizzato da Blocco Studentesco in Piazza Esedra

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«Tutti qua? 'Ndo stanno l'artri?». Piazza Santi Apostoli. Ore 10. Il sit-in antifascista è iniziato da più di un'ora. Ed è già un flop. Si contano una ventina di militanti dei collettivi. Sventolano due bandiere rosse. C'è uno striscione: «Blocca il Blocco. Fuori i fasci». Il megafono non serve. La sinistra che aveva chiamato per mesi gli studenti di tutte le università alla Guerra Santa contro Blocco Studentesco e CasaPound resta sola. Anzi, isolata. Anche i partigiani dell'Anpi, che avevano ispirato l'iniziativa, rimangono a casa. Non vogliono sfilare con centri sociali e collettivi. Piazza della Repubblica. Stessa ora. Il cielo è coperto da centinaia di bandiere nere con il fulmine cerchiato. Quasi tremila ragazzi del Blocco Studentesco si ritrovano a cantare per la «Giovinezza al potere». Per «assaltare il futuro». Arrivano da tutta Italia. Dalla Valle d'Aosta alla Sardegna. Agli stand vengono distribuite le magliette con gli slogan del movimento: «Torna a credere», «Ricomincia a lottare», «Il coraggio, l'audacia, la ribellione». I ragazzi di destra mostrano alla piazza, chiusa al traffico, le iniziative del movimento. C'è il gazebo dei Black Shark, la squadra di pallanuoto. Quello dei Diavoli di Mare, la formazione di sub. Quello del gruppo escursionisti, nato solo a giugno ma che ha collezionato già trenta «missioni» e due arrampicate. C'è lo stand dell'associazione Popoli, che va in soccorso di popolazioni in difficoltà. C'è anche un tendone giallo. È il gruppo protezione civile del Blocco e CasaPound. Dopo esser stati all'Aquila, ora vogliono ottenere le autorizzazioni per stare a Ponte Milvio con un'ambulanza e aiutare i giovani in preda ai fumi dell'alcol. Dal palco la musica dei zetazeroalfa e dei Blink182 continua a suonare. La manifestazione è una vera festa. A due chilometri di distanza, intanto, il contro sit-in rosso raggiunge i trecento partecipanti. Troppo pochi. Così, a collettivi e centri sociali viene tolta mezza piazza. Qualcuno prova a intonare un coro e chiede la cacciata del Blocco dalle università. Un gruppo di femministe litiga con i compagni per un volantino che ritrae una donna in costume. Altri restano seduti ai bordi del marciapiede rollando uno spinello. O bevendo un'altra birra. A piazza della Repubblica sale sul palco il dirigente nazionale del Blocco, Davide Di Stefano. I candidati alle elezioni studentesche del 12 e 13 maggio Noah Mancini, Alberto Palladino. Poi tocca a Francesco Polacchi. Attacca i compagni «che dispensano patenti di democrazia», che volevano «impedire questa manifestazione ma non ci sono riusciti». Ricorda ai suoi ragazzi l'importanza «di essere combattenti rivoluzionari, di chi ha costruito l'Italia sociale». Si scaglia «contro la Lega» che disprezza l'Unità d'Italia e la legge 133 per la privatizzazione delle università. «Questa è una nazione alla deriva - dice Polacchi - e noi siamo la vera e unica svolta politica e culturale per il Paese». Il responsabile nazionale del Blocco racconta il programma del movimento. Più giovani al potere. Stop al caro-libri per gli studenti. Più sviluppo delle energie alternative negli istituti. Aumento del 150 per cento delle ore di sport nelle scuole. «L'antifascismo militante non porta da nessuna parte», dice confidando che ora, dopo il flop della contromanifestazione dei compagni a Ss. Apostoli, c'è da aspettarsi nuove aggressioni fisiche. «Bisogna fermare tutto questo - dice Polacchi - Noi non lo vogliamo il morto: né nelle nostre né nelle loro file». (Ha collaborato Alessio Liverziani)

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