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Basta coi lucchetti di Moccia

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Gira una leggenda metropolitana tra i "mocciosi" di Roma (i seguaci del guru dell'amore a metraggio Federico Moccia). Il ferramenta di fronte a Ponte Milvio che vende i famigerati lucchetti da appendere al lampione (o nei pressi) possiede una doppia chiave di ogni esemplare venduto. Nottetempo va lì e li recupera, gli dà una ripulita e li rivende. Due sono le cose: o è pura invidia nei confronti del fortunato negoziante oppure trattasi di sintomatica stanchezza per il trito rituale che, nel frattempo, s'è propagato come un virus in altri luoghi-simbolo cittadini. Dai cancelli della Chiesa di San Vincenzo e Anastasio a Fontana di Trevi, nel cui vascone vanno a finire le chiavi dei lucchetti insieme alle monetine, al Vialetto degli Innamorati allo «Zodiaco» di Monte Mario, dove si va per ammirare il panorama sotto le stelle e poi succede sempre dell'altro. Ma di lucchetti dell'amore ne sono stati avvistati pure nei paraggi del Colosseo e di Ponte Sant'Angelo. Tripudio di ferro e ruggine, una manna per i ladri del settore, e overdose di sentimenti, sospiri, languidi baci, giuramenti di eterno amore. In pratica il mondo di zucchero filato, in cui galleggiano gli adolescenti e gli adulti-ragazzi dei libri di Moccia: gli inquietanti lucchetti stanno sempre lì a ricordarcelo. «Scusa se non ne possiamo più» (e altre cose irripetibili) si legge in qualche blog irriverente dove gli esponenti della generazione Moccia (paragonata a dei vuoti a perdere) sono messi alla berlina. Verrebbe pure da dire «uccidiamo il chiaro di luna» se non l'avesse già detto qualcun altro. Si percepisce, comunque, un'aria di stracca. A forza di rimestare nel barattolo della marmellata c'è venuta la nausea. È giunta, forse, l'ora di fare tabula rasa di questo romanticismo anemico che vorrebbe plasmare i nostri ragazzi in tante brutte copie di Step, Baby e Gin? Quanto c'è di autentico del mondo adolescenziale di oggi nei prototipi mocciani? E quanto incide questo tipo di letteratura sulle scelte e i gusti dei nostri figli perennemente connessi, il cui tempo libero è ormai equamente suddiviso tra scuola, social networking, videogames e, nei ritagli, di compiti a casa? Il fenomeno letterario Moccia, il successo dei film ispirati alle sue opere ma soprattutto la deriva dei lucchetti (a proposito, di postazioni ce ne sono in tutt'Italia dalla cancellata della Casa di Giulietta a Verona al lungomare di Castellamare di Stabia) sono fenomeni che vorremmo tranquillamente archiviare. Come un amore finito, con un pizzico di nostalgia ma senza rimpianti. L'invasione dei lucchetti nei luoghi-cult romani, anche per chi non è stato colpito dal dardo di Cupido, è sicuramente l'aspetto più triste e deleterio. Sono ingombranti, brutti a vedersi, la rappresentazione di un atto assurdo, e cioè mettere sotto chiave un sentimento che nasce e deve rimanere libero. Meno male che i tempi stanno cambiando velocemente. E le nuovissime generazioni sembrebbero rinnegare il maestro. Le ragazzine, ad esempio, già a 14 anni, hanno le idee chiare e sempre meno l'aria trasognata: «I maschi di classe mia sono tutti sfigati» diceva una di loro alle sue amiche. E cioè, sfortunati? «Macché, quelli non rimorchiano neanche morti». E se si fanno il ciuffo alla Scamarcio? «Niente da fà! E chi ce casca?».

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