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Il barone De Coubertin per primo tifò Roma

Livio Berruti, vincitore dei 200 metri allo Stadio Olimpico

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C'è un versante, al di là della retorica, su cui il primato di Roma è innegabile: è l'unica città, nella storia olimpica, presentatrice della candidatura in una via intitolata a Pierre de Coubertin. Scelta casuale, sicuramente legata, più che alla via, alla praticità logistica della sala austera intitolata a Giuseppe Sinopoli, il direttore che per un quinquennio ebbe in mano l'orchestra di Santa Cecilia avanti di morire sul podio, nel pieno della celebrità internazionale, dirigendo l'Aida alla Deutsche Oper di Berlino. Scelta casuale, dunque, pur tuttavia beneaugurante per la candidatura della Capitale all'Olimpiade del 2020. Restauratore dei Giochi con la storica edizione del 1896, il barone francese fu infatti il primo sostenitore di una ipotesi che legasse Roma all'evento olimpico. Ne fanno testo le sue memorie, e una trasferta italiana del febbraio 1905, venendo ovunque accolto con attenzioni e simpatia, re Vittorio Emanuele III e regina Elena compresi. De Coubertin fu gratificato anche di una benedizione da parte di Pio X, i cui anni giovanili erano stati segnati, nella nativa Riese, da una intensa attività atletica, e la cui benevolenza nei confronti della pratica sportiva avrebbe favorito l'apertura delle mura vaticane e del cortile di San Damaso ad una manifestazione ginnica. Forte del viatico reale, della benedizione papale, della diffusa attenzione delle organizzazioni sportive, di un voto positivo sottoscritto all'unanimità dai componenti della Giunta municipale e del favore del Governo - che si era premurato di respingere al mittente analoghe richieste di candidatura avanzate da Firenze e da Milano - de Coubertin rientrò nella sua abitazione parigina convinto di avere in tasca la certezza che Roma avrebbe ospitato l'edizione del 1908. Ma la crisi politica che tra la fine del 1905 e l'inizio del 1906 colpì in concomitanza governo nazionale e municipalità capitolina rese fragile, con forte rammarico del francese, l'ipotesi romana, infine cancellata e dirottata a Londra, dove venne consegnata all'eternità dello sport l'immagine di Dorando Pietri, stremato, sul traguardo della maratona. Dopo la forzata rinuncia del 1908, Roma effettuò un prudente tentativo per l'edizione del 1924, ma Parigi, auspice de Coubertin, non ebbe rivali. Molto più incisiva, fortemente decisa a rimuovere le cicatrici del passato, si rivelò l'iniziativa italiana volta ad ottenere via libera per il 1940 e per il 1944. Affiancata dal governo dell'epoca, l'Italia sportiva era reduce da rilevanti successi internazionali, primi tra essi il secondo posto assoluto nella classifica per nazioni registrato nel 1932 ai Giochi di Los Angeles e la conquista, due anni dopo, della Coppa del Mondo di calcio. La prima ipotesi fu accantonata su drastico intervento di Mussolini, cui l'alleato Giappone aveva fatto presente l'interesse ad ospitare i Giochi in occasione della ricorrenza del 2600° anniversario dell'Impero. La seconda, con un forte schieramento internazionale ostile all'asse Italia-Germania-Giappone, e prima che la guerra mortificasse ogni prospettiva olimpica, vide prevalere Londra a scapito della Capitale italiana. Perché Roma olimpica divenisse realtà si dovette così attendere il 1960. Quella trascorsa dal 25 agosto all'11 settembre fu stagione serena, per diciotto giorni stagione del mondo, con una fiaccola che attraversò il territorio nazionale dalla Sicilia alla sede olimpica. Di quella stagione, furono protagonisti gli atleti di ottantaquattro Nazioni. Statunitensi e sovietici abbracciati in campo. Tedeschi dell'ovest e dell'est uniti sotto un'unica bandiera prima che la brutalità d'un muro aprisse un baratro tra il mondo libero e la dittatura. Neri d'America e neri d'Africa primi tra i primi. E rappresentanti italiani ai vertici del podio con tredici affermazioni assolute. Testimone diretto, per la prima volta, il pubblico televisivo internazionale. Anni dopo, alla svolta del secolo, Roma tentò nuovamente l'avventura organizzativa in vista dei Giochi del 2004. Fu un esito negativo, a favore della Capitale greca, cui non fu estranea la concorrenza temporale con la candidatura per l'Olimpiade invernale del 2006, poi assegnata all'Italia e a Torino. Dopo quell'esito, con una realtà cittadina inquieta ed esposta, del tutto diversa dall'epoca fortunata del millenovecentosessanta, la nostra città ripropone, identica, l'ambizione olimpica.  

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