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Da due settimane sul tetto per difendere la ricerca

I lavoratiori dell'Ispra protestano

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Quattordici giorni. Sono passate due settimane da quando i ricercatori dell'Ispra hanno deciso di accamparsi sul tetto del loro istituto. Sfidando senza timore pioggia, vento e freddo. Di giorno e di notte. Perché l'obiettivo è difendere il posto di lavoro. Duecento precari sono già stati licenziati a giugno. Ad altri 217 scade il contratto a fine mese. Sono le forze più giovani su cui può contare l'ente in via Casalotti. Sono determinati: «Non scenderemo fino a quando non ci sarà garantita stabilità». Molti di loro sono precari anche da dieci anni. L'età va dai 26 ai 42 anni. A protestare sono soprattutto i lavoratori dell'ex Icram, l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologia applicata al mare, che un anno e mezzo fa è stato incorporato nel nuovo Ispra, guidato dal commissario Vincenzo Grimaldi sotto la vigilanza del ministero dell'Ambiente. Ricercatori e tecnici non hanno alcuna intenzione di mollare. Anche ieri hanno passato la festa dell'Immacolata sul tetto, avvolti nelle loro giacche a vento, sotto la tenda e con un'unica grande stufa. Al cibo e alle bevande ci pensano i residenti di Casalotti. «Mai avremmo pensato in un sostegno simile da parte della gente - raccontano - non ci hanno fatto mancare niente. Ci portano pasta, carne e dolci. Ci fanno sentire tutta la loro solidarietà». La maggior parte di questi lavoratori sta cercando di costruirsi un futuro. Stefano ha 38 anni, fa il biologo da più di dieci anni. Attualmente lavora al rigassificatore di Chioggia, a Porto Levante: «Si sente dire che la ricerca è importante, ma poi, nei fatti, non interessa a nessuno. Saremo costretti ad andare all'estero per trovare opportunità che in Italia stanno scomparendo». L'Istituto da un anno a questa parte sta subendo un considerevole ridimensionamento. All'inizio contava circa 1600 dipendenti. Il 31 dicembre scorso 50 precari non sono stati rinnovati. Altri 200 hanno lasciato a giugno. Ora tocca ai 217 che stanno protestando. Il lavoro che viene svolto all'Ispra è unico in tutta Italia. In un Paese con ottomila chilometri di coste questo istituto fa ricerche sullo sviluppo sostenibile, la salvaguardia della biodiversità dell'ambiente marino e si occupa di politiche per la pesca e la maricoltura. «Noi siamo l'organo di supporto scientifico del ministero dell'Ambiente, è così che si intende investire in questo settore?» si domanda Jessica, chimico di 38 anni con un contratto co.co.co scaduto a gennaio, poi rinnovato per altri cinque mesi ad agosto e di nuovo in scadenza a fine anno. Molti ricercatori che in questi giorni stanno protestando fanno lavori fondamentali per l'ecosistema, come il monitoraggio delle piattaforme marine e dei siti di bonifica. Sono loro che, ad esempio, devono controllare l'impatto ambientale della posa dell'elettrodotto che attraversa tutto il Mar Tirreno da Porto Torres a Nettuno. Nel caso di un'emergenza, come una perdita inquinante in mare, è a questi lavoratori a cui ci si deve rivolgere per valutare i danni ambientali e capire come intervenire. Sono sempre loro che effettuano le indagini sui siti di interesse internazionale, come il parco marino di Orbetello. Simone Canese è responsabile scientifico di un progetto sulla biodiversità marina lungo le coste calabresi. È a lui e alla sue équipe che si deve la scoperta della foresta di corallo nero più vasta al mondo. Trentamila colonie tra i 50 e i 110 metri di profondità sui fondali rocciosi dell'omerica Scilla. Anche Simone ha il contratto in scadenza. Sono progetti come questi che, assieme ai precari, rischiano di affondare. L'altro giorno i ricercatori hanno consegnato al ministro Prestigiacomo un albero di Natale simbolico per ricordarle che tra poco saranno licenziati. «Il 25 novembre il ministro ha detto che entro una settimana avrebbe risolto la nostra situazione - dice Massimiliano, biologo marino che lavora qui da nove anni - ne sono passate due e ancora nulla è stato fatto. Ora c'è la conferenza sul clima di Copenaghen: tanti buoni propositi, ma nella pratica la ricerca viene ignorata».

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