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Vestiti vecchi e usati Ma solo pochi vanno ai poveri

Roma, un mercatino dell'usato

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Un cappotto démodé, un vestito che va stretto, una mantella con rammendo. Sono decine gli abiti che soprattutto nei cambi stagione vengono dati in beneficenza o gettati negli appositi cassonetti gialli per la raccolta di vestiti usati. Ma dove finiscono poi quei maglioni, pantaloni, gonne, giacche? Pochi indosso ai poveri. A chiederselo è stata la commissione capitolina alla Sicurezza, presieduta da Fabrizio Santori che, a fine settembre, ha dedicato una seduta proprio all'eventualità di un probabile racket e che si è conclusa con il rinnovo della richiesta di una riunione congiunta con i colleghi della commissione comunale alle Politiche sanitarie per valutare l'ipotesi di un'ordinanza anti-rovistaggio. Nel verbale della seduta si riferiscono le parole del presidente della cooperativa Badiali che ammette «non accade quasi mai che i vestiti usati passino direttamente ai poveri - si legge nel verbale - ma sono un veicolo per ricavare denaro e finanziare progetti umanitari». I capi meglio conservati verrebbero così rivenuti ai mercatini dell'usato o ai negozi specializzati in moda «vintage», quelli invece inutilizzabili vengono spediti alle industrie che li trasformano in stracci industriali o pezzame per officine meccaniche. Un «giro» che a Roma si quantificherebbe intorno ai due milioni di euro. Un mercato insomma che può far gola e a far scattare il campanello d'allarme sono stati i tre attentati incendiari subiti negli ultimi anni dalla cooperativa romana Lapemaia. L'ultimo incendio doloso a distrutto i capannoni allo Statuario nella notte tra il 24 e il 25 maggio. L'ultimo appalto dell'Ama infatti non solo ha consentito di portare il numero dei cassonetti gialli da 500 a 912 ma anche di introdurre un principio di «premialità», nel senso che più si raccoglie e meno si paga, fino ad azzerare completamente il corrispettivo dovuto all'azienda capitolina (circa 12 euro a tonnellata di abiti raccolti). Un meccanismo che funziona e che ha portato la «colletta» dei vestiti a Roma da 1400 tonnellate nel 2008 ai 3.300 tonnellate da gennaio a settembre 2009. Un volume d'affari che evidentemente inizia a far gola.   A questo si aggiunge poi il problema del rovistaggio, anche se gli ultimi cassonetti rendono più difficile il «furto» degli abiti da riciclare. «L'appropriazione di oggetti nei cassonetti contribuisce al diffondersi di malattie infettive come la tubercolosi - sostiene Santori - creando così problemi di natura igienico sanitaria, ma anche di ordine pubblico, implicando l'intervento della polizia municipale costretta a svolgere attività di repressione nei mercatini illeciti che sorgono in diverse parti della città proprio grazie ai rifiuti raccolti».  

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