
Botte, cinghiate e morsi se non rubava o elemosinava Liberata la ragazzina-schiava

Senon lo faceva, o a fine giornata, racimolava poca roba, erano cinghiate e morsi su braccia, gambe e altre parti del corpo. È la storia di schiavitù di una romena di 15 anni. Tutti i giorni, il suo sposo-compratore, Florin Mustafà, 19 anni, dal campo nomadi di Aprilia la portava in auto alle linee laziali di Termini. Dove andava a riprenderla alle 19,30. L'altro sera ad aspettarlo c'erano gli agenti della Polizia ferroviaria del Compartimento Lazio, diretto da Carlo Casini. Tutto è successo in fretta. Una pattuglia di agenti nota la ragazzina. È esile e disperata: piange da sola seduta su un muretto della stazione. Sa che deve rubare ed elemosinare altrimenti sono botte. Di quella pratica barbarica porta i segni addosso. Gli agenti le si avvicinano. Lei non parla. Ha il terrore. Poi riprende a piangere. I poliziotti decidono di portarla in ufficio. Qui viene seguita dal personale femminile. Poi il faccia a faccia col dirigente Casini. «Dopo trent'anni di servizio - confessa lui - questa storia mi ha colpito profondamente». Lei comincia a parlare: in spagnolo e romeno. Dice che il padre l'ha venduta, è stato celebrato un matrimonio gitano col marito-aguzzino e poi si sono trasferiti nel campo di Aprilia, dove il ragazzo vive da anni. Qui comincia la vita di violenza e terrore. «Se parlo mi sgozza» dice lei. L'altra sera la cattura del ragazzo, accusato di riduzione in schiavitù. La ragazzina è in un centro del Comune. Ha chiesto di tornare dal padre. Fab. Dic.
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