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A Roma è finita l'era Veltroni, ma non nel Lazio.

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Macome ogni competizione che si rispetti la partita è ancora aperta e il verdetto finale si avrà soltanto al congresso nazionale. Se, infatti a Roma la mozione Bersani ha ottenuto il 55% contro il 29% della mozione Franceschini, nel Lazio si è ottenuto il risultato inverso. Un segnale importante, considerando che di fatto i veltroniani appoggiavano l'attuale leader nazionale, mentre dalemiani, rutelliani e popolari facevano il tifo per l'ex ministro dell'Economia. L'anima «bettiniana» del Pd, invece, con Ignazio Marino, ha ottenuto un consenso a due cifre con il quale occorrerà fare i conti. Ma vincere la battaglia non significa aver vinto la guerra. Nel Lazio infatti è ancora Roberto Morassut, veltroniano, segretario regionale uscente e «supporter» di Franceschini, a farla da padrone con il 44,5% dei consensi contro il 42,1% di Mazzoli-Bersani. Si guarda ora al congresso nazionale dove non si faranno sconti a nessuno. A darne la misura è stato lo stesso Morassut che commentando i voti capitolini ha fatto riferimento alla «Bulgaria degli anni '70». Accuse respinte al mittente dal coordinatore nel Lazio per la mozione Bersani, Alessio D'Amato: «Capisco che la sconfitta fa male, ma invito il candidato alla segreteria regionale a usare toni meno giacobini». A riportare la calma ci ha provato il segretario romano, Riccardo Milana, ricordando «che la parola ora passa alle primarie», non senza aver sottolineato che «se Franceschini può recuperare il gap nazionale di oltre 100 mila voti non vedo perché Mazzoli non possa recuperare un piccolo distacco». La vera guerra insomma è ancora tutta da combattere. Sus. Nov.

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