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Nessuna collusione con la 'ndrangheta, niente soldi sporchi, nessuna pericolosità sociale.

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LaCorte di appello di Roma, sezione quarta, ha rigettato il ricorso del pubblico ministero contro la decisione del Tribunale delle misure di prevenzione che a gennaio respinse la richesta di sequestro del locale avanzata dalla procura. «Gli elementi di valutazione rappresentati dall'accusa - scrivono i giudici - non appaiono sufficienti a delineare la pericolosità sociale dei soggetti, la loro appartenenza» alla mafia calabrese, «né la derivazione delittuosa delle loro disponibilità finanziarie». Il provvedimento era stato formulato al termine di un'indagine su presunte infiltrazioni della 'ndrangheta in alcune attività commerciali del centro storico. Tra queste il ristorante «La Rampa». Il pm Salvatore Vitello aveva anche sollecitato il divieto di soggiorno a Roma per i titolari delle quote del locale: i cugini Giorgi, entrambi con il nome di Domenico, e Cesare Romano. I difensori dei tre, gli avvocati Nicodemo Furfaro e Giovanni Belcastro, sono riusciti a dimostrare l'estreaneità dei titolari con personaggi della 'ndrangheta, e la bontà dei capitali impiegati nel locale.

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