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«Lucidi violò le norme del codice della strada ma non voleva uccidere»

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Èquanto contenuto nella motivazione, depositata ieri, della sentenza emessa dalla Corte di Assise di appello il 18 giugno scorso che aveva derubricato in omicidio colposo, e non più volontario, il reato nei confronti di Stefano Lucidi che il 22 maggio del 2008 investi e uccise in via Nomentana Alessio Giuliani e Flaminia Giordani. In primo grado Lucidi fu condannato a 10 anni per omicidio volontario, in appello ha avuto uno sconto di cinque anni per omicidio colposo. «Oltrepassare la linea d'arresto, nella consapevolezza che la segnalazione semaforica in quel momento rossa, lo impedisce - scrivono i giudici - non equivale, sempre e comunque, a voler uccidere chiunque altro attraversi l'incrocio. Una cosa è voler infrangere le norme cautelari e altro è volere l'evento che quelle norme mirano a scongiurare. Correlativamente, sul piano delle deduzioni probatorie, l'accertamento dell'aver l'agente violato consapevolmente più norme cautelari (attraverso l'incrocio ad alta velocità), se può definire un grado di colpa quanto si vuole elevato, e contribuire a un giudizio di elevata riprovevolezza della condotta, non si traduce di per sè nella prova che l'agente abbia voluto uccidere». Dunque: per i giudici d'appello Lucidi infranse sì numerose norme del codice della strada ma ciò non denota, dal punto di vista penale, la volontà di uccidere. «Non solo - ragionano i giudici - non vi è prova che l'imputato abbia in concreto percepito in tempo utile la presenza di ostacoli al superamento dell'incrocio ma, semmai, vi è la prova testimoniale di quella «percezione a fulmine» di cui, autonomamente, parla lo stesso consulente del pm, già sulla base dei soliti rilievi tecnici».

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