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«La Città Eterna e Napoli due capitali che s'ignorano»

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Soloalcuni frammenti dell'unica, così poco «italiana» vita di Erri De Luca, baciata dal successo quasi allo scoccare del suo quarantesimo anno con la pubblicazione di Non ora, non qui. Da allora è l'outsider di lusso della nostra letteratura, amatissimo anche in Francia da schiere di fan di una scrittura che tende al minimo puntando all'infinito, aristocratica e popolana, figlia di un istinto da alpinista solitario attratto dalla possibilità di aprire vie nuove. Ha sempre Napoli nel cuore, come dimostra il suo ultimo libro Il giorno prima della felicità (Feltrinelli), e di Roma, dopo esserci tornato alla fine degli anni '80, vive oggi gli echi che arrivano alla casa nella campagna laziale che abita dopo averla costruita con le sue mani. Ha scritto di Roma in Misteri romani, 22 racconti inediti. Le storie più affascinanti e inquietanti della città; qual è l'aspetto più inquietante e il più affascinante della Capitale? «Vengo da una città, Napoli, che fruga e perquisisce con gli occhi. Sotto l'apparenza della strafottenza opera il più capillare sistema di controllo. Roma è opposta, un luogo di passaggio in cui nessuno controlla, nessuno pedina con gli occhi. Roma permette residenza definitiva al forestiero che tale rimane fino all'ultimo giorno. Non dà cittadinanza, tollera e non s'impiccia. Inoltre è una città di fiumi e prima di arrivarci non avevo mai visto un ponte, per me tutti quei ponti erano un'attrazione, mi ci piazzavo in mezzo per vedere l'acqua trasportare se stessa e il suo raccolto. Quando il Tevere è gonfio porta i doni ricevuti dalla piena». Il suo ultimo romanzo Il giorno prima della felicità racconta di una storica rivolta, in quale campo servirebbe idealmente per rivalutare Roma e Napoli? «Le rivolte non sono ideali, ma malaugurate necessità contro una condizione oppressiva. Non vedo campo di applicazione teorico alle rivolte, ma sono curioso e in attesa di una generazione indocile, che stabilisca urto e distanza da quella adulta». Nel suo libro parla della differenza tra il popolo e le persone, cosa accomuna l'uno e le altre nelle due Capitali del Centro Sud? «Napoli è stata una capitale d'Europa, Roma il centro della cristianità: non appartengono al Centro Sud, appartengono al mondo e perciò si ignorano. Troppo vicine per potersi misurare, sono due immensità separate dalla storia. Hanno avuto in comune una gran folla di abitanti dentro le mura, questo ha reso temibile il popolo, gli ha dato un'aria sorniona da signore decaduto, consapevole del suo rango». Le montagne sono la sua passione, qual è la vetta metaforicamente più difficile da scalare per migliorare l'una e l'altra città? «Non me ne intendo, a me stanno bene così le due città, chiunque le governi deve fare i conti proprio con la loro irriducibilità a farsi governare». La casa in cui vive l'ha costruita lei stesso in pietra lavica, scegliere la natura è in realtà l'unica vera risposta possibile ai problemi irrisolvibili delle metropoli? «L'edilizia moderna offre buone e migliori soluzioni, spunteranno palazzinari che fiuteranno l'affare e offriranno case più "pulite", ma ogni volta che ci si misura con l'ambiente che abbiamo occupato l'atteggiamento nuovo e necessario è quello di procedere a una ritirata strategica. Non a una rotta sotto l'incalzare di una calamità, ma una lenta riduzione dei consumi e dello spreco. Dall'acqua alla luce, al cibo, fa bene alla propria igiene fisica e mentale diminuire tutto; pure il famigerato Pil».

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