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Quando i sindaci Pd con Salis in testa erano sotto al palco e Hannoun incitava: "Tutti a Roma"

Aldo Rosati
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La storia comincia a Genova, nella fitta rete di vicoli che odorano di mare, i carrugi. È nel capoluogo della Liguria, a Bolzaneto, nella periferia nord, che dal 1983 vive Mohammad Hannoun, ed è qui che fa carriera, diventando presidente del Centro islamico. Qui sono le sue "associazioni benefiche", il "bancomat" di Hamas, come ipotizzano gli inquirenti. Più di quarant’anni dopo, l’operazione di polizia parte proprio dalla Procura di Genova. Ora bisogna riavvolgere il nastro di qualche mese. È il 31 agosto: dal profilo Instagram della sua associazione, l’Api, Mohammad Hannoun chiama alla battaglia. Lo fa sapendo di muoversi nelle acque di casa, nella città in cui ormai è un protagonista riconosciuto.

T-shirt chiara, solita voce stentorea, l’architetto (non ha mai esercitatola professione) si dice orgoglioso che Music for Peace, la onlus che opera nella città della Lanterna, sia diventata uno degli snodi operativi della Flotilla. Passano pochi giorni: è il 17 settembre. In piazza De Ferrari, a pochi passi dal Comune e dalla Regione, viene organizzato un affollatissimo presidio pro Pal.

 

Hannoun è in prima fila tra gli organizzatori e lo sarà poi fisicamente in piazza, avvolto in una kefiah in formato lenzuolo, dove dal palco inciterà tutti «a andare a Roma».

Quel mercoledì di settembre, al grido di «Gaza sta bruciando, scendi in piazza», a Genova avviene una specie di miracolo. Infatti, in contemporanea, nella piazza accanto a quella dove si svolge il presidio, a Palazzo Ducale è in corso un incontro dell’Anci ligure. La padrona di casa è Silvia Salis, l’ex dirigente Coni eletta da maggio, alla sua prima uscita ufficiale con i colleghi amministratori. È lei a proporre di unirsi alla piazza, con i manifestanti convocati dall’architetto giordano, infaticabile tessitore di rapporti politici poi ampiamente documentati sui social.

Una gioia per i fotografi: il folto gruppo di sindaci Pd si presta a uno scatto. Da sinistra a destra: Beppe Sala (Milano), Vito Leccese (Bari), Matteo Lepore (Bologna), Silvia Salis, Sara Funaro (Firenze), Stefano Lo Russo (Torino). D’altra parte, i dem avevano aderito con entusiasmo alla chiamata: «Invitiamo iscritti, elettori e cittadinanza a partecipare, portando bandiere della pace e della Palestina».

 

Torniamo al presente: dalla loquacità di quei giorni di fine estate al silenzio di tomba che nelle ultime 48 ore attraversa la città dei carruggi. Dopo l’arresto di Hannoun, a Genova non parla più nessuno. Silvia Salis, ad esempio, è scomparsa. Da giorni l’amministratrice che ha “stregato” il campo largo è in silenzio. Una tecnica da vecchia politica, insolita per un’outsider: «Quando imperversa la bufera, non farti trovare». Così, nessuna dichiarazione sulla rete pro Hamas che da anni operava a poca distanza dai suoi uffici; niente di niente su Mohammad Hannoun, genovese acquisito e molto attivo con le istituzioni locali.

 

A dire il vero, non parlano neanche gli altri sindaci Pd presenti in quella piazza, da Sala a Lepore, da Leccese a Funaro. Una linea condivisa dal Nazareno: Elly Schlein ha scelto di non commentare, meglio concentrarsi sulla legge di bilancio e sulla riforma della Corte dei Conti.

Alla fine, l’unica che si espone è la deputata del M5S Stefania Ascari, che ospitò Hannoun a Montecitorio per una conferenza stampa, organizzando con lui almeno tre missioni internazionali. La parlamentare sceglie una linea di attacco: «Respingo con sdegno le accuse infamanti che mi vengono rivolte». E ancora: «Si tratta di menzogne deliberate, costruite per delegittimarmi e per intimidire chi non si allinea alla narrazione del mainstream».

Nel mainstream della Ascari, però, non c’è spazio per l’amico giordano: «Pure il criminale genocida Netanyahu ha ammesso di aver finanziato Hamas». Insomma, così fan tutti.

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