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Migranti, Ursula sposa il modello Albania: "Hub per rimpatri in altri Paesi"

Dario Martini
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I giudici italiani hanno rispedito indietro per ben tre volte i migranti dall’Albania. Le opposizioni compatte, da Elly Schlein e Giuseppe Conte fino a Matteo Renzi, hanno tuonato per mesi contro il governo perché sprecava i soldi nel mandare i clandestini oltre l’Adriatico senza accoglierli a braccia aperta nei porti di Sicilia e Calabria. Adesso che Ursula von der Leyen sposa su tutta la linea la politica adottata da Giorgia Meloni il Partito democratico resta in silenzio. Troppo l’imbarazzo, d’altronde in Europa, appoggia ufficialmente la maggioranza Ursula, essendo la prima forza politica dei Socialisti europei. Solo Alleanza Verdi Sinistra attacca frontalmente la presidente della Commissione europea, parlando apertamente di «deportazioni». La rivoluzione copernicana in tema di migrazioni avviene di prima mattina, quando von der Leyen scrive ai 27 leader dell’Unione in vista del Consiglio europeo di giovedì. «Stiamo aprendo alla possibilità per gli Stati membri di istituire "hub di rimpatrio" nei Paesi terzi - si legge nella missiva - È stato un elemento importante della nostra discussione sulle soluzioni innovative per contrastare con determinazione la migrazione illegale, agendo in cooperazione con i paesi partner e garantendo che i diritti fondamentali degli individui interessati siano assicurati in conformità con il diritto internazionale».

 

 

 

Di hub in Paesi terzi al momento ne esistono solo due. E sono proprio quelli realizzati dal governo italiano a Shengjin e Gjader grazie all’accordo sottoscritto da Meloni con il primo ministro albanese Edi Rama. Un progetto, come detto, ancora non decollato per l’opposizione dei giudici del tribunale di Roma, poi auto-trasferiti in Corte d’Appello, che hanno considerato «non sicuri» i Paesi (Egitto e Bangladesh) d’origine dei migranti che erano stati portati nei due centri albanesi. La questione al momento è in una fase di «sospensione», dal momento che si attende il pronunciamento della Corte di giustizia europea che però ha già rinviato il verdetto che dovrebbe arrivare entro l’estate. Intanto, Ursula accelera, e spiega già come dovrà funzionare il nuovo meccanismo: «Per completare il nuovo approccio comune sui rimpatri, la Commissione sta inoltre preparando una proposta sulla digitalizzazione della gestione dei casi di rimpatrio per la fine dell’anno. Il nuovo approccio contribuirà anche alla prossima revisione di Frontex, in cui sarà importante garantire che le operazioni di rimpatrio possano essere organizzate direttamente da Frontex con i Paesi terzi, migliorando al contempo il ruolo dell’Agenzia nella prevenzione della migrazione irregolare». Avanti anche sui Paesi sicuri. Un chiaro richiamo a quanto già fatto dal governo italiano, che a ottobre scorso ha aggiornato la sua lista. Un elenco, però, che non è andato giù a molti giudici che in Italia si occupano di immigrazione, i quali non ritengono che l’Egitto o il Bangladesh (due dei principali Paesi d’origine dei migranti) vadano considerati sicuri.

 

 

 

Scrive invece von der Leyen: «Un elemento chiave del Patto che ci consente di semplificare le procedure di asilo è l’uso di concetti di Paesi sicuri. La Commissione sta attualmente preparando un elenco Ue di Paesi di origine sicuri. A questo scopo, stiamo attingendo a un’analisi dell’Agenzia Ue per l’asilo e ad altre fonti di informazioni disponibili per valutare una prima selezione di paesi scelti in base a criteri oggettivi, come bassi tassi di riconoscimento dell’asilo. La nostra intenzione è di presentare una proposta per un primo elenco Ue di paesi di origine sicuri nelle prossime settimane. Una volta adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, questo elenco sarà dinamico e potrà essere ulteriormente ampliato o rivisto nel tempo». A quel punto, difficilmente i giudici nostrani potranno continuare ad opporsi. Non molla invece Avs, il partito che ha portato Ilaria Salis al Parlamento europeo. Per il deputato Peppe De Cristofaro, i centri proposti da von der Leyen «questi centri, lontani dall’Europa, non sono altro che luoghi dove le persone migranti con un vero e proprio meccanismo di deportazione, sono detenute e dove il rispetto dei diritti fondamentali è tutt’altro che garantito».

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