
Ucraina, "guerra" delle piazze: la sinistra si spacca. Conte si defila, Calenda con pochi intimi

Per invocare l’unità di fronte allo spettro di un asse Meloni-Trump che possa fare da ponte tra Europa e Usa, la sinistra scende in tre piazze diverse. Che non solo sono destinate a non mescolarsi, ma si odiano tra loro. Ieri quella dei centristi a Roma e in altre trenta città italiane per un totale di diecimila manifestanti dichiarati da Carlo Calenda, il principale promotore. Anche se a Roma, quella principale, dove c’è il leader, sono solo qualche centinaio. Obiettivo dell’iniziativa: chiedere un maggiore impegno militare a fianco di Zelensky e dell’Ucraina.
Tra due settimane, sabato 15, invece, andrà in scena quella proposta da Michele Serra con la sostanziale adesione del Pd di Elly Schlein, genericamente per l’Europa e contro Trump. Il 5 aprile, invece, quella di Giuseppe Conte che porterà il Movimento Cinque Stelle a manifestare per il disimpegno dall’Ucraina, per togliere fondi alla difesa e sostenere il processo di pace proprio come detto da Trump.
Eccoli, gli alleati della coalizione che si proporrebbe di essere alternativa al centrodestra e in realtà incarnano l’uno l’opposizione dell’altro. «Dobbiamo marciare divisi per colpire uniti», aveva vaticinato Dario Franceschini. Per ora si esercitano nel marciare divisi, sul colpire uniti il discorso è più complesso. Anche perché perfino sull’onda della indignata mobilitazione seguita al diverbio Zelensky-Trump-Vance, il popolo del centrosinistra in piazza si vede poco. Quella di Roma, ieri, era una piazza storica e ambiziosa: Santi Apostoli è legata, nella storia del centrosinistra, alla sede dell’Ulivo prodiano. Lì c’erano i suoi uffici, lì avvenne la famigerata preparazione dell’elefantiaco programma da 400 pagine. E in quella piazza l’Ulivo prima e il Pd poi ha portato migliaia di manifestanti, colmandone il perimetro da una parte all’altra. Ieri, più modestamente, millecinquecento persone dichiarate (molte meno nei fatti) si sono date appuntamento in un quadrilatero. Persone dall’accento più ucraino che italiano – la comunità ucraina a Roma conta oltre quindicimila persone – e peraltro assai pronte alla contestazione. Pier Ferdinando Casini si fa vedere all’inizio, poi si allontana. Parlano Calenda, Riccardo Magi di +Europa e Luigi Marattin di Orizzonti Liberali.
Poi è la volta del dem Andrea Casu, che sale sul palco per ringraziare la squada del Nazareno presente: il senatore Filippo Sensi e il deputato Piero De Luca. Esponenti della minoranza riformista, tutti e tre ben lontani dalla segreteria di Elly Schlein. Appena Casu inizia a parlare, ecco i primi contestatori: «Basta con Conte!», gli gridano. «Dovete rompere con chi sta con Putin». Partono i fischi. Casu reagisce: «Basta dire basta. Proviamo invece a unirci tutti dalla stessa parte...». Pie illusioni.
Le tre piazze segnano la distanza incolmabile tra i tre fronti, quello dei centristi (Calenda, Marattin, Magi, mentre Renzi non c’era), quello di Elly Schlein sempre in mezzo al guado, quello di Giuseppe Conte convintamente pacifista. Ieri ha rinnovato l’invito a manifestare con lui, snobbando le altre piazze: «Mi fa rabbia pensare - ha detto Conte - che il governo sia andato in Europa a chiedere a una Commissione europea con l'elmetto di spendere più in armi e spese militari anziché in sanità: stiamo negoziando nuove spese in Difesa fino a 20 miliardi per l’Italia. Dobbiamo fermare questo disastro, queste scelte folli da cui sarà poi difficile tornare indietro.
È anche per questo, per tutti i cittadini in fila fra le inefficienze della sanità, che abbiamo scelto di scendere in piazza e farci sentire con forza, il 5 aprile. Contro l’Italia e l’Europa delle armi». Poi qualcuno dovrebbe mostrargli il verbale del Consiglio dei Ministri sull’aumento delle spese militari italiane fino al 2%. Portava in calce la firma dell’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
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