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M5S, terzo mandato (con fregatura). E i i big di Conte già litigano

Edoardo Sirignano
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Non basta neanche la promessa di un futuro eterno in politica a placare gli animi di chi, per alcuna ragione al mondo, intende mollare la poltrona. Non basta, quindi, l’euforia per aver messo alla porta Beppe Grillo a placare lo scontro al vertice del M5S. Mentre Giuseppe Conte prova a scalzare Elly Schlein, accusandola di aver fallito sull’eccessiva lotta all’antifascismo, a rendergli impervio il cammino verso Palazzo Chigi, stavolta non sono gli alleati, ma quei parlamentari, a fine secondo mandato, che gli avevano giurato eterna fiducia. Secondo il quesito, passato nell’ultima Assemblea, per cui dopo dieci anni in Parlamento bisogna fermarsi un quinquennio, i big uscenti dovrebbero lasciare lo scranno a quegli "ex", che, dopo aver tradito il loro mentore, vogliono tornare a essere protagonisti. Stiamo parlando dei vari Vito Crimi, Paola Taverna, Alfonso Bonafede, Carlo Sibilia, Fabiana Dadone, solo per citarne qualcuno. In poche parole i portavoce, che hanno dovuto sgomitare per rivoltare il Vaffa e renderlo qualcosa simile alla sinistra, con le regole attuali, resterebbero a casa per favorire chi, invece, solo quando ha capito che i giochi erano compiuti, si è contraddistinto per il mai tramontato salto della quaglia.

 

 

Ecco perché, per l’ennesima modifica al M5S, stavolta, si sarebbe attivato proprio l’avvocato di Volturara Appula. Dopo aver lottato per crearsi una cerchia di sodali, certamente, non può abbandonarla al primo intoppo, tra l’altro per favorire chi del tradimento, a quanto pare, ne ha fatto una virtù. Secondo voci interne a Via di Campo Marzio, a tal proposito, ci sarebbe già stata una riunione tra Conte e i veterani a Montecitorio e Palazzo Madama. Il piano è il seguente: far passare qualche mese per far sbollire gli animi e, poi, nel silenzio più assoluto, sottoporre la base a un nuovo test, in cui far passare una norma secondo cui si può arrivare a quindici anni in Parlamento, senza interruzioni. Una missione non semplicissima, considerando che la base si aspettava una nuova consultazione, ma non certamente l’ennesima norma a misura di pochi o meglio per garantire chi, qualora non dovesse avere la casella sicura, non perderebbe un secondo a bussare altrove.

 

 

L’artefice del governo giallo-rosso Patuanelli, ad esempio, sarebbe accolto a braccia aperte al Nazareno qualora i 5 Stelle non gli garantissero un futuro da deputato. Un nome del suo calibro non sarebbe disposto ad aspettare le prossime europee per cui manca un’eternità, politicamente parlando o peggio buttarsi nella mischia delle regionali, dove può succedere tutto e il contrario. Tra quelli in scadenza di mandato, poi, non tutti hanno gradito la cancellazione di quel Beppe, che di fatto li ha portati alla ribalta. La vicepresidente del Senato Mariolina Castellone, qualora non intravedesse un avvenire, tornerebbe all’istante alla corte di quel comico, che fino all’altro ieri l’ha trattata come una figlia. Sarebbe, poi, una barzelletta vedere gli attuali capigruppo fuori dal Parlamento, la sempre presente Vittoria Baldino o i vicepresidenti Michele Gubitosa e Riccardo Ricciardi. Magari, imitando il modello Crimi, potrebbero inventarsi l’ennesima congiura. Ecco perché il superamento del limite del doppio mandato non risolve i problemi di Conte, ma li amplifica. Un partito sotto il 10%, d’altronde, non può garantire un apparato, modellato per una forza che doveva guidare il Paese.

 

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