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Piantedosi difende la Polizia: “No processi sommari alle forze dell'ordine”

Edoardo Romagnoli
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Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, chiamato in Aula dalle opposizioni dopo il caso delle manganellate di Pisa e Firenze, ribadisce la sua versione. Un messaggio che può essere sintetizzato in due battute: basta processi sommari alle forze dell’ordine e basta con le strumentalizzazioni politiche. Con una aggiunta: «Il rischio di incidenti e di scontri è zero se i manifestanti non pongono in essere comportamenti pericolosi e violenti, rispettando le regole». Piantedosi confessa che «la visione delle immagini degli scontri di Pisa» lo hanno turbato. Poi, durante l’informativa, spiega tutti i motivi per cui si è arrivati a quelle immagini. In merito al corteo di Pisa «non era stato presentato nessun preavviso», la Digos e la Questura hanno provato a mettersi in contatto con gli organizzatori ma senza successo e anche una volta in strada nessuno ha voluto dare informazioni alle forze dell’ordine. E ancora: gli studenti hanno provato a forzare il cordone della Polizia a difesa di Piazza dei Cavalieri. Mentre a Firenze la comunicazione del corteo è arrivata solo 24 ore prima quando la legge impone almeno 72 ore di preavviso. E anche nel capoluogo toscano le tensioni si sono scatenate solo quando i manifestanti hanno tentato di dirigersi verso il consolato americano, «già oggetto di attentato incendiario lo scorso 2 febbraio».

 

 

Al ministro replicano poi le opposizioni che prima con Matteo Mauri del Pd chiamano in causa il premier: «Meloni non si è espressa dopo i fatti di Pisa e Firenze». Poi con Vittoria Baldini, del Movimento 5 Stelle, che rivolgendosi al ministro dispensa consigli: «Fossi stata al suo posto, in quest'Aula, la prima cosa che avrei fatto, vedendo questi ragazzi, anche molto piccoli, nelle tribune del pubblico, sarebbe stata alzarmi e chiedere loro scusa». Quando è chiaro che né il ministro né il premier possono intervenire nelle «situazioni di piazza». Pietro Pittalis, di Forza Italia, prova a giustificare le manganellate non citando mai i manganelli, preferisce chiamarli «dotazioni di servizio». Il deputato azzurro spiega che gli studenti erano armati di ombrelli e bandiere e che hanno insultato i poliziotti. Come se le forze dell’ordine non fossero dei professionisti addestrati ma dei permalosi armati che se li insulti ti manganellano. Ma ancora meglio fa Edoardo Ziello della Lega quando prova a suggerire che i fatti di Torino, dove un gruppo di facinorosi ha tentato di assaltare una macchina della polizia per impedire il trasferimento di un migrante in un centro di espulsione, siano stati ispirati dalla sinistra. Come se i gruppi antagonisti ascoltassero il Pd che già fa fatica a farsi capire dai suoi elettori. Nelle conclusioni accusa le famiglie degli studenti in piazza di «fallimento educativo». Marco Grimaldi, AvS, cita addirittura la Diaz e il G8, chiedendosi perché Piantedosi all’epoca non disse nulla. Ma almeno da un rapido sguardo alla biografia di Piantedosi non si capisce da che pulpito avrebbe dovuto parlare.

 

Il punto qui è un altro. Le forze dell’ordine sono fondamento della democrazia e nel loro ruolo c’è anche quello di garantire la sicurezza nei cortei. Per farlo però devono essere messi nelle migliori condizioni. E se sbagliano, proprio a loro tutela, bisogna fare chiarezza individuando le eventuali responsabilità. Cosa che sta facendo, proprio in questi giorni, la Procura di Pisa. Quindi invece di esprimere una «pelosa solidarietà» alle forze dell’ordine perché non è stata presa l’occasione, durante l’informativa di Piantedosi, per discutere, ad esempio, del rinnovo dei contratti degli agenti, bloccati da 800 giorni, dell’aumento degli organici o del pagamento degli straordinari, che non vengono onorati da 20 mesi. Una risposta però arriva nel pomeriggio quando il ministro annuncia degli interventi a favore delle forze dell’ordine con tanto di nuovi stanziamenti. Sicuramente una buona notizia per evitare che alla fine di un dibattito sterile a rimetterci siano proprio quegli uomini e quelle donne in divisa che ogni giorno lavorano in condizioni precarie, consapevoli dei rischi e delle difficoltà, per garantire la tenuta democratica di questo Paese.

 

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