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Contro il regime? La sinistra dimentica le strizzate d'occhio agli oppressori

Pietro De Leo
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Siccome la difesa della libertà come valore universale è diventata tema di primissimo piano e gli sfregamenti, più o meno intensi, con i regimi sono questione assai delicata, sarebbe meglio che ognuno compia un’operazione di autocoscienza di quel che è stato il passato (anche recentissimo), rifuggendo da dita puntate e anatemi sul prossimo. Già, perché sul punto se c’è un’area della politica italiana che proprio non può dare lezioni questa è la sinistra. Basta partire da un argomento acceso e gigantesco nel suo dramma, la crisi medio orientale. È vero che la segretaria del Partito democratico Elly Schlein ha dato prova di propensione al dialogo con Giorgia Meloni in occasione delle ultime mozioni parlamentari sul tema. Ma è altrettanto vero che lo scorso 11 novembre, quando i dem manifestarono a Roma in piazza del Popolo, non si udirono particolari «autoanalisi» nel giorno dopo di fronte alla circostanza che, nel corso dell’evento, comparvero un paio di bandiere panarabe oltre a sparuti partecipanti in kefiah. E quello, considerando che era trascorsa appena qualche settimana dal sette ottobre (data dell'attacco di Hamas), non era di certo un bel messaggio. Chissà a parti invertite quali sarebbero stati gli strali e gli strepiti.

 

 

Lunga poi è l’aneddotica che riguarda il Movimento 5 stelle. Di fronte all’ipotesi che l’Italia del governo Meloni potesse non rinnovare il memorandum sulla Via della Seta (e in effetti poi non è stato rinnovato), lo scorso settembre Giuseppe Conte, che era a Palazzo Chigi quando fu siglato, assicurava: «Noi non ci siamo pentiti di nulla». Questo nonostante quell’accordo non avesse portato grandi benefici al nostro export e ne fosse stata dimostrata la portata politica non proprio lusinghiera per il nostro Paese (l’Italia, infatti, era l’unico paese del G7 ad averla allacciata). La casistica «scomoda», però coinvolge anche il Movimento 5 stelle pre-contiano. Nel 2019, ai tempi del Conte 1 (ma il professore non guidava il partito), ci fu un tentativo di rovesciare il regime comunista di Maduro in Venezuela. Protagonista di quell’operazione era il giovane Juan Guaido, su spinta - si scriveva allora dell’amministrazione Trump. Ebbene, il Movimento si auto aggrovigliò in un fumoso «né con Maduro né con Guaido» che non era, per dir così, molto consono per un partito al governo di un paese occidentale.

 

 

Per non parlare, poi, delle svariate uscite di Beppe Grillo (quando era ancora colonna del Movimento e non una mera entità sullo sfondo come oggi). Una volta, per dire, arrivò a relegare a «errori di traduzione» gli appelli del leader iraniano Ahmadinejad alla distruzione di Israele. Passando ad altro partito, poi, a dolersi del mancato rinnovo del memorandum con la Cina c’era anche il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni: «Non c’è una politica estera. Che idea abbiamo del nostro ruolo nel mondo io non l’ho capito». Quando invece era facilissimo da capire: l’Italia stava concretizzando una scelta chiara, ovvero la conferma dell’adesione all’asse atlantico. Forse sarà vero che nel quadro politico c’è bisogno di studiare un po’ meglio la storia e leggere buoni libri. Tipo quello dell’ex segretario Pd Nicola Zingaretti, «Piazza Grande». Ecco cosa scrive: «Non ci fosse stata l’Unione Sovietica (...) non sarebbero state possibili le lotte dei partiti di sinistra e democratici né il compromesso sociale che oggi in Europa è un esempio per tutto il mondo civilizzato». Una visione alquanto assolutoria di un regime violento e repressivo. Forse è meglio aprirne un altro, di libro.

 

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