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M5S, nuova crociata di Conte: dallo Stato 750 milioni per ridurre le ore di lavoro

Dario Martini
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Adesso Giuseppe Conte fa sul serio. Archiviato definitivamente il reddito di cittadinanza e abbandonata la battaglia sul salario minimo, il leader dei 5 Stelle si getta a capofitto nella sua nuova crociata: la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione. La proposta di legge, presentata il 15 marzo 2023 e di cui il capo grillino è primo firmatario, è rimasta in "congelatore" per undici mesi. Poi pochi giorni fa, il 13 febbraio, è stata tirata fuori dal limbo in cui si trovava ed è stata assegnata in Commissione Lavoro alla Camera in sede referente. A novembre scorso Conte aveva anche girato un video in cui rilanciava la proposta con questo slogan: «Lavorare meglio e stare meglio, si può». L’occasione era una visita ad un’azienda di Trento che ha messo in pratica proprio la riduzione degli orari senza cambiare la parte salariale dei contratti. Adesso, leggendo il testo del progetto di legge assegnato in Commissione, scopriamo un estratto della più autentica filosofia grillina in tema di lavoro.

 

 

Nella relazione introduttiva Conte, insieme ai colleghi Carotenuto, Aiello, Barzotti e Tucci, spiega che «la riduzione della settimana lavorativa e un fine settimana più lungo possono influire positivamente sulla salute mentale e fisica dei lavoratori, facendo diminuire i casi di esaurimento o altre malattie correlate all’attività lavorativa nonché migliorando l’equilibrio tra la vita professionale e quella privata, contribuendo così a ridurre la pressione e l’affaticamento che spesso accompagnano i dipendenti quando si recano al lavoro, con conseguente incremento della motivazione e della dedizione della forza la voro». Le opzioni sono due: ridurre il monte ore giornaliero o i giorni settimanali. In quest’ultimo caso non si dovrebbe lavorare più di quattro giorni a settimana. In entrambi i casi, senza superare le 32 ore a settimana. Oltre alla salute mentale del lavoratore, Conte ha a cuore i «benessere delle persone», in modo che chiunque abbia «più tempo per sé». La necessità di questa svolta, si legge nel testo, è venuta in mente al leader del M5S grazie all’esperienza maturata durante «la pandemia che ha cambiato per sempre i ritmi lavorativi e la percezione stessa del lavoro». Conte cita espressamente il lockdown, «che molti hanno trascorso lavorando da casa, dimostrando che è possibile essere produttivi e creativi in situazioni difficili, e hanno portato a un ripensamento delle strutture del lavoro».

 

 

Conte e colleghi citano anche le esperienze di alcuni progetti pilota avviati in Spagna, Gran Bretagna, Islanda e Belgio, che dimostrerebbero i benefici di un lavoro ridotto. L’assunto è il seguente: «Non è sempre vero che lavorare di più equivale ad essere più produttivi». Conte vuole sfatare certi «luoghi comuni», perché lavorare «oltre un certo limite» provoca una «stanchezza fisiologica che si ripercuote inevitabilmente sulla produzione aziendale». Infine, questa idea non poteva non essere anche "green": andando meno in ufficio, secondo uno studio del 2012 della Henley Business School, i lavoratori dipendenti percorrerebbero circa 900 milioni chilometri in meno a settimana (non è chiaro quale sia il campione di riferimento). Di conseguenza si ridurrebbe l’inquinamento («impronta di carbonio»). La proposta di legge prevede un periodo sperimentale di tre anni, dal 2024 al 2026, in cui sindacati e datori di lavoro più rappresentativi a livello nazionale avviino le 32 ore settimanali a parità di retribuzione. All’art. 3 si introduce un incentivo: l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assicurativi a carico del datore nel limite massimo di 8.000 euro. A pagare ci pensa lo Stato, con una previsione massima di spesa di 250 milioni l’anno, per un totale di 750 milioni. Superato questo budget l’Inps non accoglierà altre domande. Al termine del triennio, l’osservatorio dell’Istituto elaborerà una relazione da trasmettere al parlamento.

 

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