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Pd, ora c'è Unità: tutti zitti su Schlein per un posto alle Europee

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Edoardo Romagnoli
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Sono passati due giorni dall’editoriale di Piero Sansonetti sull’Unità in cui tratteggiava i contorni di un Partito Democratico ostaggio di una leader «priva di storia politica, di esperienza e conoscenza politica». Un articolo a cui ha risposto Furio Colombo l’ex direttore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci: «Sansonetti non ha nessun titolo per chiedere le dimissioni della segretaria del Pd. Può farlo come qualsiasi cittadino italiano ma non ha nessuna importanza. Sansonetti crede di poter utilizzare il quotidiano che dirige come se fosse l’Unità di un tempo, ma non è così. Questo quotidiano non ha nulla dell’Unità tranne il titolo». Anche la stessa Schlein ha voluto rispondere a Sansonetti: «Era l’Unità molto tempo fa. Peccato che sia finita così. Noi siamo appena arrivati, siamo qui da pochi mesi e stiamo ricostruendo un’identità chiara di un partito che aveva perso credibilità e la fiducia dei suoi elettori. Abbiamo già riportato il Pd a essere prima forza stabilmente all’opposizione in questo Paese. Sono lavori in corso, non pensavamo di cambiare tutto in pochi mesi. Sono loro che dovrebbero restituire l’Unità alla sua preziosa storia».

 

 

Non c’è dubbio che l’Unità non sia più il giornale che fu ma la domanda che Sansonetti poneva rimane evasa: «Cosa ne pensano all’interno del Pd della segretaria?». In una intervista di pochi giorni fa proprio su Il Tempo il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri ha dichiarato che sentendo le opinioni dei senatori dem sulla Schlein lui si può quasi definire un moderato. Ora sostenere che dentro il Nazareno non vi sia possibilità di critica verso la segretaria è difficile da dire, il Pd è forse l’unica partito in cui una dei modi per farsi strada è quello di criticare la segreteria e il leader del momento; qualcosa a riguardo la possono raccontare Debora Serracchiani e Matteo Renzi. Però è indubbio che in questi mesi di reggenza Schlein si siano visti tre momenti distinti: un primo tempo, appena è diventata segretaria, in cui fra l’insoddisfazione dei bonacciniani e la fuoriuscita di alcuni esponenti della componente cattolica il fermento dem era alle stelle. Un secondo momento in cui chi poteva vantare un minimo di seguito ha cercato di prepararsi a un eventuale flop della segretaria in vista delle elezioni; vedi Bonaccini e la sua area culturale «Energia popolare».

 

 

E un terzo tempo in cui in molti si sono spesi per fare appelli all’unità del partito e alla fedeltà verso la leader. Una pace utile non solo per evitare agli elettori e alla maggioranza l’immagine di un partito spaccato che ogni giorno regala ai giornali una polemica interna. Ma anche a quei parlamentari dem che puntano a un seggio in Europa. L’ultima parola nella composizione delle liste è in mano alla segretaria per cui non conviene muovere critiche se si vuole competere per uno scranno a Bruxelles.
E proprio sul punto Sansonetti ha scritto: «Dobbiamo rinunciare a ogni forma di battaglia politica per la paura di perdere o guadagnare qualche seggio? La prospettiva del più grande partito della sinistra è tutta racchiusa in questi piccoli numeri? Ho paura di sì. Temo che uno dei motivi per il quale il Pd è paralizzato e tremante è proprio la formazione delle liste per le future elezioni». Ma c’è o non c’è una soglia di sopravvivenza per Schlein alle Europee? Si parlava di un 20% come risultato minimo per rimanere al timone del partito, ma ora che i dem si attesterebbero fra il 20 e il 23% già c’è chi dice che potrebbe non bastare comunque. Segno che probabilmente i malumori, seppur taciuti in questa fase, ci sono e sono tanti a sperare in un flop nelle urne per far fuori la segretaria. Tra l’altro sarebbe una strategia in pieno stile Pd.

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