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Sinistra senza vergogna, usa la strage di Bologna per attaccare Meloni

Pietro De Leo
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A sinistra riscoprono la clava della «matrice». Bastone moralistico con cui vibrare colpi nel campo avverso, i cui esponenti vengono sottoposti, non si sa bene con quale autorità, a costanti esami dna democratico. Stavolta, il punto di spinta è sulla strage alla stazione di Bologna, pagina terribile per il nostro Paese di cui ieri ricorreva il quarantatreesimo anniversario. «La strage alla stazione di Bologna – ha detto alla vigilia il ministro della giustizia Carlo Nordio – è una ferita aperta per tutto il Paese e solo una verità senza zone d’ombra può portare ad un’autentica giustizia». E ancora, ha sottolineato il Guardasigilli, «in sede giudiziaria, è stata accertata la matrice neofascista della strage e ulteriori passi sono stati compiuti per ottemperare alla inderogabile ricerca di quella verità completa che la Repubblica riconosce come proprio dovere». Molto esplicito è stato anche Ignazio La Russa, presidente del Senato e nome che ha attraversato quasi mezzo secolo di storia della destra italiana, dal Movimento Sociale in poi: «Va doverosamente ricordata la definitiva verità giudiziaria che ha attribuito alla matrice neofascista la responsabilità di questa strage». Dopo queste dichiarazioni, assai esplicite, di due esponenti di governo e maggioranza c’è da chiedere ulteriori «riconoscimenti» della matrice? A sinistra, evidentemente sì.

 

Chiedere «prove», infatti, è la pratica su cui da quelle parti ricorrono costantemente. Pratica ideologica più che politica, sarà per questo che vi riescono così bene. E così nel mirino finisce la dichiarazione con cui la premier Giorgia Meloni, tra i vari passaggi esprime l’auspicio affinché si possa «giungere alla verità sulle stragi che hanno segnato l'Italia nel Dopoguerra passa anche dal mettere a disposizione della ricerca storica il più ampio patrimonio documentale e informativo». Una linea che, però, non viene validata dalla integerrima radiografia progressista. «La presidente Meloni ha fatto una dichiarazione in alcuni passaggi molto ipocrita. Non pronuncia mai la parola "neofascista", cioè la matrice accertata della strage. Perché? Che problemi ha con la storia del nostro Paese?», dice Marco Furfaro, della segreteria nazionale Pd. «Sulla strage di Bologna la premier Giorgia Meloni dice che bisogna giungere alla verità. Il Presidente Mattarella ricorda che le sentenze certificano che la strage è di matrice neofascista e che l’obiettivo era la destabilizzazione democratica del Paese. Su questa verità la Meloni è d’accordo oppure affermando che è un atto terroristico la mette in discussione?».

 

Queste le parole di Silvio Lai, deputato Pd. Deborah Serracchiani, deputata, invece punta il dito contro «l’ambigua mozione approvata dalla maggioranza». Ebbene, quale sarebbe la pecca di questo test? In realtà esso, tra le sue varie finalità, impegna il governo «ad adottare iniziative urgenti, anche di carattere normativo, per la riforma della disciplina del cosiddetto segreto di Stato, per la declassifica e la consultabilità dei documenti declassificati, e l'accelerazione del processo di digitalizzazione».

Altro impegno, poi è per «rafforzare l'intervento pubblico per gli Archivi, puntando alla costituzione di un unico archivio digitale presso l'Archivio centrale dello Stato che raccolga e razionalizzi, al fine di evitare i duplicati, i documenti declassificati esaminati dalle commissioni d'inchiesta, unificando gli archivi esistenti». Dunque, ancora più verità ed accessibilità ai documenti, maggiore trasparenza. Ma evidentemente la sinistra ha un’altra chiave di lettura e sempre Deborah Serracchiani tuona: «Sspetta alla leader della destra italiana e a una classe dirigente ora al governo ripudiare esplicitamente il fascismo». Uno schema, purtroppo, già visibile da anni in occasione de 25 aprile. Con il rischio, peraltro, che la giostra ideologica annacqui la tragicità della storia.

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