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Caso Santanchè, il ministro si difende in Senato. M5S chiede la sfiducia

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Nessun avviso di garanzia, nessun compenso milionario dalle aziende, nessuna multa da pagare, ma «una campagna di vero e proprio odio» e la volontà di difendere «il mio onore e anche quello di mio figlio, trascinato senza motivo in questa polemica»: è questo il fulcro della strategia difensiva della ministra del Turismo Daniela Santanchè. Dopo due settimane nell’occhio del ciclone, al Senato si smarca dalle accuse e contrattacca sull’inchiesta giornalistica della trasmissione Report sulle aziende Visibilia e Ki Group, i quotidiani che l’hanno rilanciata e chi la critica ferocemente in pubblico ma in privato non disdegna di prenotare nei locali che ha fondato. La maggioranza fa quadrato. Fratelli d’Italia le rinnova la fiducia, la Lega accoglie con favore l’«atto di trasparenza non dovuto». Ma il caso non sembra chiuso perché il Movimento 5 Stelle annuncia una mozione di sfiducia. E la segretaria del Pd Elly Schlein conferma che il partito la voterà «certamente». «Giuro sul mio onore che non sono stata mai raggiunta da alcun avviso di garanzia e ho chiesto ai miei avvocati di verificare», ha esordito Santanchè, prendendo la parola dai banchi del governo, circondata dai ministri: i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, la ministra Elisabetta Casellati, il titolare dell’Interno Matteo Piantedosi, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. Vuoto lo scranno solitamente riservato al presidente del Consiglio: Giorgia Meloni è impegnata in Polonia. Presiede la seduta il presidente del Senato Ignazio La Russa.

«Vi prego di reagire a questa pratica che oggi tocca a me e che domani potrebbe colpire qualsiasi cittadino politico o non politico», esorta Santanchè rivolgendosi ai senatori. In mano i fogli rilegati dell’intervento, in cui elenca le cifre sulle sue partecipazioni alle società su cui la Procura di Milano ha aperto un fascicolo. «Voglio precisare alcuni dettagli omessi e artefatti», scandisce: «Dalla Ki Group ho ricevuto nel triennio 2019-2021 27mila euro lordi. una media di 9mila euro l’anno»; «il tfr non pagato ai dipendenti? Era da corrispondere nel 2023. Ho chiesto informazione e posso dire che tutti verranno soddisfatti nei loro diritti di credito». Quanto al «mio gruppo, che orgogliosamente ho fondato e di cui mi assumo la responsabilità» precisa che per «30 anni nessuno mi ha accusato di alcunché». Poi chiosa: «Quando mi guardo allo specchio mi piace quello che vedo riflesso. Solo chi ruba nasconde, io non ho nulla da nascondere. E mi fa sorridere che le critiche più feroci arrivino da coloro che in privato hanno tutto un altro atteggiamento e a cui magari fa piacere prenotare nei locali che ho fondato. E mi fermo qui per carità di patria...». Poi arriva la notizia che l’iscrizione nel registro degli indagati del ministro del Turismo Daniela Santanché non è più secretata, la circostanza è comunque compatibile con il mancato invio di un avviso di garanzia.

L’Aula, quasi piena, ascolta in silenzio, scaldandosi solo quando il capogruppo M5S Stefano Patuanelli annuncia una mozione di sfiducia, le cui motivazioni sono state illustrate a stretto giro dal presidente Giuseppe Conte in una conferenza stampa al termine dell’informativa: «Noi riteniamo - ha detto - che non ci siano le condizioni affinché il made in Italy sia rappresentato dalla ministra Santanchè. È una questione di etica pubblica». Prima della mozione di sfiducia, il Pd, che in Aula ha rilanciato la richiesta di dimissioni, avrebbe preferito chiamare in causa il governo sollecitando la risposta all’interrogazione ai ministri Giorgetti, Urso e Calderone presentata dal senatore Antonio Misiani: «non la sottoscriviamo, non è la nostra mozione - è la linea dei dem - tuttavia se fosse calendarizzata e arrivasse in aula non potremmo certo non votarla». Si riallarga poi la cesura tra i centristi di Azione e Italia Viva, impegnati in un dibattito interno sul garantismo. L’intervento a nome di Azione-Italia viva è affidato al senatore renziano Enrico Borghi che chiama in causa la premier Meloni, cui affida la valutazione sulla permanenza al governo della ministra, dicendo no alla «presunzione di innocenza a targhe alterne». Dissente Carlo Calenda: «Il garantismo non c’entra, Santanchè valuti passo indietro».

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