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L'eredità avvelenata del Pnrr, tanti dubbi e poche certezze. Pasticcio dei governi Conte e Draghi

Claudio Querques
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Qualcosa è andato storto. Che tradotto vuol dire riscrivere il Pnrr, allungare scadenze, tempi di spesa, concedere deroghe, cancellare o spostare le risorse da un progetto all’altro. Mano a mano che si avvicinano i target e si allontanano gli obiettivi da raggiungere a fine trimestre vengono a galla i punti oscuri di un Piano nato male, riveduto e corretto dal governo Draghi ma già da rifare. Il primo ad ammetterlo è stato nei giorni scorsi Francesco Giavazzi, docente alla Bocconi, il consigliere economico di riferimento del precedente governo: «Vedo difficile il pagamento della terza rata del Pnrr se prima non saranno risolti i rilievi sollevati dalla Commissione europea». È molto più di un allarme. Il rischio concreto di perdere una tranche di finanziamento pari a 19 miliardi di euro. Mezza finanziaria. Il rimpallo di accuse è già cominciato. Volano gli stracci. Lo scontro Draghi-Meloni, il dito puntato contro gli enti territoriali, l’anello più debole della catena. Sullo sfondo i problemi strutturali, quelli che non sono stati risolti, che i tecnici non hanno saputo vedere e la Corte dei Conti nella sua ultima relazione al Parlamento ha evidenziato: Pubblica amministrazione sguarnita di competenze, concorsi fatti male, progetti che i comuni, cioè per il 57% i principali attuatori del Piano, avevano in pancia da anni riproposti aggiungendo tante pezze a colori. Molti dubbi e poche certezze, insomma. In un contesto in cui la trasparenza è un optional. Progetti da mettere a terra, rimodulare e spostare in un arco temporale più lungo – 42 miliardi in totale da spendere entro il 2023 – l’impianto del Pnrr da ripensare e riproporre a Bruxelles risolvendo criticità in settori cruciali che rallentano l’ingolfata macchina burocratica: concessioni portuali, teleriscaldamento e sistemi urbani integrati.

 

 

Il 30 dicembre 2022, un monitoraggio della Fondazione indipendente Openpolis rilevò che 14 interventi considerati completati in realtà risultavano ancora alle prese con problemi di natura amministrativa e burocratica; per 4 scadenze gli interventi non erano stati proprio realizzati: cybersicurezza; potenziamento dei centri per l’impiego; progetti a sostegno dei disabili e nuovi posti letto per studenti. Dove non solo non era stata acquistata una sola brandina ma non era stato neanche aperto un avviso pubblico. Nel maggio del 2021 erano state previste tramite i concorsi 15 mila assunzioni. Laureati ipermasterizzati che mai e poi mai avrebbero accettato contratti a tempo determinato. Ne hanno assunti solo 2.500: un fallimento. Ora, con l’ultimo decreto del Cdm arriveranno i rinforzi: 1056, impiegati funzionari, tecnici, esperti. Ma solo ora. Ricapitoliamo. Il Pnrr prevede 358 misure finanziate da 191,5 miliardi di euro del Next generation Ue – 750 miliardi che non vengono dai governi ma dal mercato, garantiti attraverso emissione di titoli - cui si aggiungono 30,6 miliardi del fondo complementare, risorse prelevate dalle casse dello Stato. Sulla carta si potrebbe arrivare a 261 miliardi. Ogni 6 mesi la Commissione europea verifica il conseguimento delle scadenze e in caso di approvazione procede all’invio dei fondi. Un programma di portata colossale, dunque. Da qui l’obbligo di trasparenza come condizione preliminare per verificare lo stato di attuazione e monitorare gli interventi. Si dà il caso però – citiamo ancora Openpolis – che i dati disponibili sulla piattaforma ItaliaDomani risalgono al 31 dicembre 2021 e riguardino solo 5.246 progetti.

 

 

Nella relazione semestrale dell’ottobre scorso, il governo Draghi fece riferimento a 73 mila progetti per un valore di 65 miliardi di euro. Progetti sui quali ancora oggi c’è opacità. I verbi si coniugano all’infinito: ricollocare, rimodulare, ripensare ma pochi sanno di cosa si tratta. Per il governo entrante non c’è mai stata una relazione di accompagno. «È mancata una due diligence, il sistema di monitoraggio è improponibile», ha sostenuto di recente Fabrizio Barca, ex ministro alla Coesione territoriale che vanta il record di utilizzazione dei fondi strutturali europei. Una critica da sinistra che Barca con il suo Forum delle disuguaglianze non ha mai lesinato al governo Draghi. Sintetizzata in 2 missive inviate dal Forum a Bruxelles tra la primavera e l’estate del 2021. Lacune e debolezze del Piano italiano, nodi che poi sarebbero venuti al pettine. Polverizzazione degli investimenti, mancanza di dialogo e di trasparenza, necessità di assunzioni nella Pa amministrazione per sopperire al deficit di organico degli enti locali. Senza questi correttivi, il Pnrr, è la profezia di Barca, «resterà una mela con il baco». E lo diceva mentre la Commissione omaggiava Mario Draghi stendendo tappeti rossi. Sono limiti che il ministro agli Affari europei Raffaele Fitto non ha mai nascosto. L’imperativo però è fare squadra, evitare lo scaricabarile. Una regola a cui si è attenuto a dire il vero anche il primo cittadino di Bari Antonio Decaro, presidente dell’Anci. I piccoli comuni vanno aiutati non criticati (i segretari comunali hanno una media di 55 anni, molti di loro stanno per andare in pensione). Tre giorni fa il nuovo ministro della Pa Paolo Zangrillo ha annunciato lo stanziamento di 20,5 milioni di euro per nuove assunzioni negli enti locali con la possibilità di stabilizzare i precari e dare continuità al lavoro già cominciato. Ci voleva Zangrillo?

 

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