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Sui migranti nuovo bidone dell'Ue all'Italia: “Nessun accordo nel 2023”

Pietro De Leo
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Un incaglio continuo sull'immigrazione, destinato probabilmente a protrarsi anche per tutto il 2023. Non fa ben sperare l'avvio del semestre europeo a guida svedese, almeno stando a quanto affermato dal rappresentante presso l'Unione Europea Lars Danielsson. Interpellato dal Financial Times, ha affermato che, a quanto pare, nemmeno quest'anno si riuscirà a portare in meta un accordo comunitario per i ricolloca menti dei richiedenti asilo. Danielsson ha escluso che, sul punto, l'impegno di Stoccolma possa essere rallentato a causa della presenza, nella compagine di maggioranza, del partito di destra Democratici Svedesi, anzi ha assicurato massimo impegno affinché siano mossi passi avanti nel raggiungimento dell'accordo. Tuttavia, è chiaro che una dichiarazione così, gettata nel dibattito a inizio semestre, contribuisce a zavorrare qualsiasi sforzo. E a proiettare, di nuovo, il fallimento europeo sul dossier migratorio.

 

 

Sin da quando i flussi cominciarono a moltiplicarsi, sia lungo la rotta balcanica che in quella mediterranea, un meccanismo comunitario di ricollocamenti è stato più volte invocato, a volte abbozzato, senza mai trovare un esito sostanziale. Delineandosi, anche su questo punto, le differenze tra blocco del Nord, di Visegrad e Paesi mediterranei, questi ultimi maggiormente esposti ai flussi provenienti dall'Africa. E, in attesa di un piano organico, si sono dimostrati insussistenti anche i tentativi di mettere a sistema un meccanismo preliminare. È il caso, ad esempio, dell'accordo di Malta, risalente al 2019. Un progetto «pilota», che fu siglato a La Valletta, oltre al Paese ospitante, da Italia, Germania, Francia e Finlandia (quest'ultima, in quel momento, aveva la responsabilità del semestre europeo). Il problema di quell'accordo è che si basava sulla volontarietà, aveva ampi margini di «recesso» e non fu mai vincolante. Tanto che l'allora governo Conte 2 ben presto, sul piano lessicale, ridusse quel «patto» a mera «dichiarazione», ciò ad ulteriore conferma della sua evanescenza. Altro tentativo, poi, fu esperito nel 2022. Attraverso la sottoscrizione di un documento, da parte di 19 Stati membri più 4 associati, ancora incentrato su un meccanismo «volontario» di solidarietà, che prevedeva due opzioni, o accogliere richiedenti asilo sul proprio territorio (e a tal proposito non erano state nemmeno fissate delle quote), oppure sostenere economicamente i Paesi di primo approdo. Anche in questo caso, il meccanismo non ha centrato gli obiettivi previsti.

 

 

Questi due esempi tracciano il polso di un fallimento che si è esteso lungo ben due Commissioni, quella guidata nel 2014 da Jean Claude Juncker, e quella attuale di Ursula von der Leyen, che è appena entrata nel suo anno finale. Non è mai stato neanche raggiunto il traguardo di riformare il trattato di Dublino, oramai inattuale rispetto al contesto storico-demografico completamente mutato dopo le Primavere Arabe. Così come, allo stesso modo, è stato fatto ben poco per affrontare il problema alla radice, ossia una efficace cooperazione con i Paesi africani per evitare le partenze ed effettuare efficacemente i rimpatri. Il ricollocamento, infatti, ha sempre rappresentato un nodo assai arduo da sciogliere, considerandola sensibilità delle opinioni pubbliche sul tema arrivi e le difficoltà di integrazione che un po' tutti i Paesi si trovano ad affrontare.

 

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