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Elezioni 2022, la rinascita di Giuseppe Conte: "Capopopolo per caso"

Carlantonio Solimene
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Era lo scorso 21 giugno quando il Senato fu chiamato ad esprimersi su un ordine del giorno per avallare l'ennesimo invio di armi all'Ucraina. Nel giro di poche ore il Movimento 5 stelle attraversò due scossoni in apparenza mortali: la capitolazione sull'odg, piegandosi alla linea pro-Kiev di Draghi, e la scissione dell'ex capo politico Luigi Di Maio. Nei corridoi di Palazzo Madama si aggirava un Matteo Renzi euforico: «Il M5S è morto» sentenziò. Per aggiungere: «Alle prossime Politiche bisogna capire chi capitalizzerà la rivolta dell'autunno, che sarà caldissimo. Conte? Impossibile: quando sei stato a Palazzo Chigi così a lungo, hai perso quella "verginità" necessaria per intestarti la protesta».

Lo disse Renzi ma era quello che pensavano politologi, giornalisti e persino gran parte dei grillini. Non a caso in diverse decine decisero di seguire Di Maio. Ma la storia è andata diversamente. Dalle ceneri di quel giorno Giuseppe Conte ha costruito pazientemente una rimonta che, oggi, lo mette nelle condizioni ideali per rappresentare - è il caso di dirlo dopo i primi exit poll che danno il Movimento oltre il 15% - quel «fortissimo punto di riferimento dei progressisti» che Nicola Zingaretti aveva visto nell' «avvocato del popolo». Il come sia potuto accadere sarà probabilmente materia di studio per gli esperti di campado: promettere, promettere e ancora promettere. Così la parola chiave della campagna elettorale è stata «gratuitamente». Non c'è stato un aspetto della vita degli elettori per cui non sia stato promesso un bonus (e, ovviamente, il Superbonus 110%), con la leggerezza di chi sa che con ogni probabilità non sarà chiamato a governare e quindi a mantenere le promesse. E poi, naturalmente, il Reddito di cittadinanza. Col senno di poi è sorprendente come gli altri leader non abbiano capito quanto l'argomento fosse sensibile, soprattutto al Sud, dove Conte ha concentrato i trequarti dei suoi comizi. Tutti contraddistinti dalla retorica del «noi contro tutti». E pazienza se a pronunciare quelle invettive era lo stesso personaggio che con tutti ci aveva già governato.Il «suo» popolo ha deciso di credergli e di perdonargli le giravolte. Conte si è vantato della riscossa ucraina dopo aver criticato l'invio di armi, ha detto di non volere endorsement stranieri dopo aver brigato, in passato, per ottenere il favore di Trump (ricordate «Giuseppi»?), è diventato persino il faro dei diritti dei gay dopo aver criticato il Ddl Zan. Casalino, vero inventore del fenomeno Conte, ha puntato tutto sulla «smemoratezza» dell'elettorato. Convinto che la connessione sentimentale con gli italiani nata all'epoca dei lockdown fosse più forte delle incoerenze. E alla fine ha vinto. Certo, è una vittoria di Pirro.

Perché il Movimento si prepara all'opposizione. Ma il futuro sembra essere dalla parte dell'avvocato. Le truppe in Parlamento sono disegnate a sua immagine e somiglianza, il tetto al doppio mandato ha decapitato la precedente classe dirigente grillina, in estate si è liberato di Alessandro Di Battista e ha messo in panchina Virginia Raggi. In ultimo, infine, ha relegato Beppe Grillo sullo sfondo. Al comizio finale il fondatore non ha partecipato e a stento è stato evocato. La bad company del M5S è diventata il partito di Conte. Il futuro sta nel riallacciamento del dialogo con il Pd, ovviamente «de-lettizzato». Ma l'ambizioso Conte potrebbe puntare più in alto: ad annettersi un elettorato smarrito e confuso senza neanche doversi imbarcare i dirigenti. Si vedrà. L'uomo, lo ha fatto ben capire questo voto, non va sottovalutato.

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