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Sbarchi migranti, ipocrisia sinistra: porti aperti in Italia e pugno duro all'estero

Pietro De Leo
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Il racconto dell'incolpazione di politici e commentatori progressisti in tema immigrazione prevede uno schema preciso: Salvini e Meloni sono cattivi non solo perché vogliono controllare i flussi e contrastare la clandestinità, ma anche perché sono alleati della Le Pen, Vox, Orban, i conservatori polacchi eccetera eccetera, forze ed esponenti additati per via della loro intransigenza negli arrivi. Visione limitante che non tiene conto di un dato oggettivo, ossia che gli alleati e i punti di riferimento del mondo progressista e sedicente liberale italiano non è che abbiano brillato di magnanimità, ma si sono spesso resi responsabili di politiche dai modi spicci e prese di posizione che supererebbero «a destra» gli intendimenti di Lega e Fratelli d'Italia.

Prendiamo, per esempio, la Danimarca, guidata dalla giovane Primo Ministro socialdemocratica Mette Frederiksen. Ha stretto un accordo con il Kosovo, per ospitare, dietro corrispettivo in denaro, nelle carceri locali, i detenuti stranieri condannati in Danimarca e destinati, dopo l'espiazione della pena, all'espulsione. E ha in animo, il governo danese, di stringere un accordo in Rwanda per collocare laggiù una quota di richiedenti asilo in attesa di verificarne la titolarità allo status di rifiugiato. Un po' come voleva fare il premier inglese uscente Boris Johnson.

Per quanto l'Inghilterra non faccia parte dell'Unione Europea, la linea dell'inquilino di Downing Street ha riscosso gli strali un po' ovunque. Quella della Danimarca, al contrario, è passata pressoché in sordina. Così come, a sinistra, non ci si è mai troppo strappati i capelli per certe sgrammaticature di Emmanuel Macron, al contrario assai carezzato, quando, ai tempi di Salvini al Viminale, attaccava la sua politica migratoria. Proprio in quei mesi, un report di Amnesty International certificava «violazioni sistematiche» da parte della gendarmeria transaplina al confine con l'Italia. Cosa accadeva? Espulsioni di stranieri, che avevano già passato la frontiera, riaccompagnati sul territorio italiano, «senza esame individuale della loro situazione né la possibilità di chiedere asilo».

In gergo ciò si chiama «espulsione a caldo», una pratica molto in voga nell'enclave spagnola di Ceuta e Melilla, con governi di vari colori, dunque anche quello socialista. Uno degli Esecutivi socialisti, guidato da Zapatero, nel 2005 peraltro pensò bene di rinforzare il reticolato che segna il confine spagnolo con delle lame, per scoraggiare i tentativi di passaggio.

Purtroppo, però, un immigrato provò il tutto per tutto, e fece una morte orribile, dissanguato. A seguito di quel fatto, le lame furono smontate. Ma sempre a quegli anni risale un altro, drammatico fatto di cronaca: cinquecento disperati provarono l'assalto al confine, quattro caddero morti, uccisi da pallottole vere (di solito vengono sparati lacrimogeni o proiettili di gomma). Polizia marocchina e Guardia Civil spagnola si accusarono reciprocamente. Tuttavia, questi fatti dimostrano che i compagni di viaggio della sinistra italiana non sono così virtuosi come loro vogliono far credere. 

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