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Il New York Times cambia rotta sull'Italia: “La fine del governo Draghi è il trionfo della democrazia”

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«La fine del governo Draghi è il trionfo della democrazia, non una minaccia». È il giudizio che appare nel New York Times in un’opinione di Christopher Caldwell, giornalista e autore di libri sull’immigrazione. L’autore dà una lettura diversa della crisi e chiede se davvero sia ‘populista’ preoccuparsi di quanto possa essere democratico un ‘governo tecnico’, una delle formule più usate nella storia della politica italiana. L’intervento arriva cinque giorni dopo quello di David Broder, dal titolo «Il futuro è l’Italia. Ed è tetro», che aveva provocato l’indignazione della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, di cui il giornale newyorkese aveva ricordato il legame con nostalgici del fascismo. Qui i toni sono più concilianti. 

 

 

«In una delle sue newsletter - scrive Caldwlell - JPMorgan ha descritto le manovre parlamentari che hanno portato alle dimissioni di Draghi un ‘colpo di stato populista’». L’opinionista del New York Times ricorda il ruolo chiave dei «filoputiniani» nella crisi, ma sottolinea anche l’anomalia del ruolo di Draghi «come simbolo della democrazia»: il fatto che «nessun elettore l’abbia mai scelto». «Era stato insediato - continua - per sbloccare una situazione di impasse a inizio 2021. Per quanto Draghi sia stato rispettabile e capace, le sue dimissioni rappresentano un trionfo della democrazia, almeno per come la parola democrazia è tradizionalmente intesa». Il problema dell’Italia, nota Caldwell, è che i governi hanno bisogno di due ‘maestri’: l’elettorato e i mercati finanziari globali. «Forse questo riguarda tutti i Paesi dell’economia globale, ma non è come uno immagina la democrazia dovrebbe funzionare». Con un debito pubblico che supera il 150 per cento del prodotto interno lordo, il calo demografico e l’aumento dei tassi di interesse, l’«Italia è intrappolata in una moneta europea che non può essere svalutata». Nei decenni la politica italiana si è spesso aggrappata a governi tecnici come quello di Draghi, che «hanno chiesto grossi sacrifici» ma «ascoltando meno» le esigenze dei cittadini. 

 

 

«L’elettorato - si legge sul quotidiano liberal - sembra essere diventato populista in modo durevole. Le elezioni del 2018 hanno rappresentato il terzo più grande sconvolgimento politico dopo la Brexit e la vittoria di Donald Trump nel 2016». L’allora primo ministro Giuseppe Conte, nel pieno della pandemia, «godeva di grande popolarità» ma né l’Unione Europea né l’establishment romano gli hanno dato fiducia, in particolare riguardo la possibilità di spendere i 200 miliardi di euro del Recovery fund. «Ma in cosa consiste la credibilità di Draghi? - prosegue l’autore - in una democrazia la credibilità viene dal mandato popolare. In un governo tecnico dalla connessione con i banchieri e tutto l’establishment. In questo caso non è chiaro se la democrazia sta chiedendo aiuto alle istituzioni finanziarie o se le istituzioni finanziarie hanno messo la democrazia in un angolo». 

 

 

Nel frattempo è in gioco il destino dei fondi europei. L’Italia ha ricevuto finora solo 46 miliardi dei duecento promessi. L’Unione europea vuole decine di riforme perché tutti i progetti vengano finanziati. «L’Europa, per esempio - spiega Caldwell - voleva che le spiagge italiane venissero aperte alla competizione. I sostenitori delle riforme hanno definito quelle famiglie che gestiscono da generazioni le spiagge ‘monopoliste’. Gli oppositori, a cominciare da Matteo Salvini, hanno ribattuto che ‘monopolista’ sarebbe più adatto alle catene internazionali di hotel che hanno spazzato via le piccole attività». Anche la liberalizzazione dei trasporti è tema che sta a cuore all’Unione europea, così come l’ingresso di Uber in un mercato in cui, nota il New York Times, può capitare che una corsa in taxi dal centro di Milano all’aeroporto Malpensa possa costare cento euro. Molte riforme dovevano essere approvate entro fine anno e la fine di Draghi «non è una coincidenza», ma - è la conclusione dell’opinionista - se con Draghi si sarebbero potuti trovare i soldi per salvare il tuo Paese, non c’è niente di ‘populista’ o ‘filoputiniano’ o di irragionevole nel preoccuparsi riguardo le conseguenze per la democrazia.

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