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"Decida il popolo col voto", Pierantonio Zanettin sul referendum giustizia

Pierpaolo La Rosa
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Il deputato e capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia alla Camera, Pierantonio Zanettin, non ha dubbi sul perché votare sì ai cinque quesiti referendari sulla giustizia.
Onorevole Zanettin, per quali motivi recarsi alle urne il prossimo 12 giugno ed esprimersi per il sì?
«Dopo tanti anni, almeno dieci, in cui in Italia ha dominato il giustizialismo giudiziario, il corpo elettorale ha la possibilità di imporre a questo Paese una svolta garantista nel rispetto del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. Intervenire, dunque, rispetto a quello che è successo negli ultimi anni, può essere appunto un momento di svolta».
Ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha auspicato che la riforma della giustizia ad opera del governo possa essere «completata con prontezza».
«Che la riforma della giustizia sia urgente ed assolutamente necessaria, io lo dico da anni, alla luce dello scandalo Palamara, di quello Davigo, del contrasto ormai quotidiano tra Csm e Consiglio di Stato di cui si parla poco. Come Parlamento siamo riusciti a varare la riforma Cartabia che è fin troppo timida. Speriamo che con i referendum del prossimo 12 giugno gli elettori possano intervenire per un cambiamento radicale».
Entriamo nel merito dei singoli quesiti.
«Giudico il più importante quello sulla separazione delle funzioni. Sappiamo che il dibattito sulla separazione delle carriere anima l’avvocatura da molti anni, ma questo richiederebbe una modifica costituzionale. Tenendo conto dell’esistenza di una deriva giustizialista, è difficile avere una maggioranza ampia in Parlamento per un intervento del genere. Un altro quesito rilevante è quello sulla legge Severino perché siamo in presenza di un ambito in cui si viola la presunzione di non colpevolezza. Pensiamo solo a tutti gli amministratori condannati in primo grado di giudizio, con sentenza non passata in giudicato, che sono stati costretti alle dimissioni da sindaco e poi prosciolti, anche con formule pienamente assolutorie, in appello».
Quanto al quesito sulla custodia cautelare?
«L’abuso della carcerazione preventiva è tipico del nostro Paese e porta in tanti casi ad una condanna dello Stato ed al risarcimento dei danni nei confronti di chi viene assolto. C’è, poi, il referendum sul voto dei laici, nei consigli giudiziari, relativo alle valutazioni di professionalità dei magistrati. Un modo per rendere più democratico anche il percorso di crescita professionale delle toghe».
Infine, ecco il quesito sull’abrogazione della raccolta delle firme per l’elezione dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura...
«Si tratta di un quesito importante, che tenta di attenuare il peso delle correnti all’interno del Csm».
L’informazione sui quesiti oggetto della consultazione referendaria è, però, carente.
«Il problema è di divulgare questi temi perché molte persone non sanno nemmeno che cosa si vota il prossimo 12 giugno. Esiste un deficit, legato all’informazione, che è molto grave dal punto di vista democratico. Chi fa la campagna per il no non si espone e non mobilita neppure il suo elettorato di riferimento, perché vuole che non si raggiunga il quorum».
Occorre votare sì anche alla luce della richiesta di condanna da parte della Procura di Milano a sei anni di reclusione per Silvio Berlusconi, nell’ambito del processo Ruby ter?
«Certo, non c’è alcun dubbio. Ormai la credibilità della magistratura è ridotta nel nostro Paese ai minimi termini, dopo gli scandali che si sono succeduti. La pubblica opinione può cercare di invertire questa tendenza che purtroppo grava sull’ordinamento italiano da molti anni».

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