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Draghi re del voto di fiducia: ne ha già chiesti 51 come Monti. E fa pressione pure su Casellati

Dario Martini
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A Mario Draghi piacciono i voti di fiducia. È il presidente del Consiglio che ne ha chiesti di più in proporzione alla durata del suo governo. Nonostante goda della più ampia maggioranza che si ricordi, con un solo partito all’opposizione, ha già blindato 50 provvedimenti in soli quindici mesi. Le ultime due volte, mercoledì scorso, sul dl Ucraina bis alla Camera e sul dl Riaperture al Senato. La volontà di porre la questione di fiducia anche sul ddl Concorrenza fa lievitare il totale a 51. Esattamente come Mario Monti, un altro premier "tecnico", che restò a Palazzo Chigi diciassette mesi. Analizzando i dati delle ultime tre legislature, si nota che l’esecutivo che ha fatto maggior ricorso alla questione di fiducia sia stato quello guidato da Matteo Renzi (66), seguito proprio da Monti e Draghi. Il Berlusconi quater ne chiese 45, ma in tre anni e cinque mesi.

 

Il premier, intanto, tira dritto come se nulla fosse. Ieri ha scritto alla presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, per esortarla a velocizzare l’approvazione del ddl Concorrenza, al cui interno c’è la "pratica" balneari, con il nodo ancora da sciogliere delle concessioni e degli indennizzi a coloro che perderanno la licenza. La lettera, girata anche a tutti i capigruppo di Palazzo Madama e al presidente della commissione Industria, Gianni Girotto, sa di ultimatum: «Il governo, nel rispetto delle prerogative parlamentari, deve rappresentare che, senza una sollecita definizione dei lavori del Senato con l’iscrizione in Aula del provvedimento ed una sua rapida approvazione entro fine maggio sarebbe insostenibilmente messo a rischio il raggiungimento di un obiettivo fondamentale del Pnrr».

 

Poi, il presidente del Consiglio si è scagliato contro la lentezza dei lavori di Palazzo Madama: «Dopo un’intensa attività conoscitiva, la commissione ha fissato il termine per gli emendamenti e i subemendamenti tra il 14 e il 17 marzo scorso. Ad oggi, malgrado numerose riunioni si siano con le forze parlamentari, le operazioni di voto non risultano effettivamente iniziate». Draghi sente la sua come una missione. Lo ha spiegato anche agli alunni della scuola Dante Alighieri di Sommacampagna, in provincia di Verona, dove si è recato in visita ieri: «Sento molto la responsabilità. E questo è parte della serietà. Guidare un Paese in un momento difficile è responsabilità. Ma la responsabilità è anche agire, fare le cose. Non mi rende contento avere una posizione importante. Mi rende contento riuscire a fare le cose che devo fare».

 

Poi, dopo un pensiero speciale alla moglie («senza di lei avrei fatto molte fesserie»), Draghi ha ricordato quando è diventato premier: «Non sono stato eletto, ma nominato. Quando il presidente Mattarella mi ha chiamato, e mi ha chiesto se me la sentivo, io ho detto sì. Era un momento molto difficile: il virus, la gente che moriva, l’economia che andava male. Ho pensato a come affrontarle». Mattarella, però, in più occasioni ha ribadito proprio la «centralità del Parlamento». Centralità che, secondo la leader di<ET>FdI, Giorgia Meloni, sta venendo meno: «La fiducia sul ddl Concorrenza è molto grave, perché Draghi è un presidente del Consiglio che non è stato scelto dagli italiani, e invece arriva alla sua 51esima fiducia. Ormai, quando va bene, i provvedimenti li discutiamo solo in un ramo delle Camere».

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