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Referendum sulla giustizia, Carlo Nordio per una riforma vera

Pierpaolo La Rosa
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Tra i principali sostenitori del sì ai cinque quesiti referendari in materia di giustizia c’è Carlo Nordio, ex magistrato e presidente del Comitato «Sì per la libertà, sì per la giustizia». Lo raggiungiamo telefonicamente mentre è in viaggio, destinazione Teramo, per un’iniziativa a supporto della campagna per il sì, organizzata dalla Fondazione Luigi Einaudi. 
Dottor Nordio, perché votare sì?
«Perché è una risposta strategica che va al di là del significato dei singoli quesiti, che sono anche tecnicamente difficili da comprendere da parte degli elettori. Ai cittadini chiediamo se siete contenti della giustizia penale italiana, allora disinteressatevi dei referendum ed andate al mare. Ma se ritenete - come tutto lascia supporre - che siate insoddisfatti per la lunghezza dei processi, per l’abuso della custodia cautelare, per l’interferenza dei pubblici ministeri sulla politica e più in generale per lo sfacelo della giustizia penale italiana, allora questa è l’occasione per esprimervi». 
Qual è il messaggio che gli elettori possono lanciare votando sì ai referendum?
«È un messaggio orientato ad una riforma radicale della giustizia. Questo Parlamento non ha la forza politica di procedere con questa riforma, ma una vittoria del sì ai referendum sarebbe un messaggio vincolante per il prossimo Parlamento, per una riforma appunto radicale e liberale, perché la sovranità appartiene al popolo ed il referendum, per quanto nella sua forma abrogativa abbia dei limiti tecnici, è comunque espressione massima della volontà popolare». 
Cosa ne pensa della riforma della giustizia della guardasigilli Marta Cartabia?
«La riforma Cartabia contiene soluzioni buone, è il minimo sindacale per ottenere gli aiuti economici da parte dell’Unione europea, ma incontra dei vincoli insormontabili. Il primo è che le riforme non le fa il ministro, ma il Parlamento. Questo Parlamento non ha, però, la volontà politica né il tempo di varare provvedimenti seri. Il secondo vincolo è che il nostro processo penale si è rivelato incompatibile con la Costituzione, tanto che è stato modificato diverse volte dalla Consulta, e ciò ha provocato norme incoerenti. Incoerenze che sono state aumentate dai successivi interventi del legislatore, per cui oggi il processo penale è ingestibile, lungo, incerto e per di più soggetto a mille variabili capricciose della sorte. La riforma Cartabia incontra questi limiti, entro i quali ottenere i sussidi europei. È, invece, necessaria una grande riforma, indispensabile per realizzare in Italia una giustizia più rapida, più efficiente e più giusta». 
La sorprende l’atteggiamento di Enrico Letta, che pur lasciando libertà di scelta ai suoi parlamentari si è schierato per il no ai quesiti?
«In parte mi sorprende perché Letta è sempre stato molto equilibrato ed attento nei confronti delle ragioni dei garantisti. Dall’altro lato, me lo aspettavo perché il Pd deve fare moltissima strada per emanciparsi dalla sua soggezione nei riguardi della magistratura: una soggezione che va avanti da lungo tempo anche perché la magistratura, eliminando Silvio Berlusconi per un po’ di tempo dalla vita politica, ha reso oggettivamente un favore all’opposizione di sinistra. Un po’ per la paura di inchieste, un po’ per gratitudine verso i magistrati, il Partito democratico è ancora esitante per pronunciarsi a favore di una riforma che alla magistratura potrebbe dispiacere. Però, ci sono nell’ambito dei dem delle forze innovative, garantiste, che non vanno sottovalutate e che io spero abbiano complessivamente voce in capitolo nel partito. L’apertura fatta da Letta, di lasciare libertà di scelta ai suoi parlamentari, è una specie di compromesso tra questi vincoli storici che il Pd ha nei confronti della magistratura giustizialista e l’istanza di rinnovamento che preme all’interno del partito».
 

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