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Ucraina, il balbettio dell'Ue può davvero portare Mario Draghi a capo della Nato

Paola Tommasi
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Per il ventilato ingresso dell’Ucraina nella Nato siamo da quasi tre mesi in guerra. Con la richiesta di entrare da parte di Finlandia e Svezia rischiamo una escalation che porta alla bomba atomica. Le reazioni di Vladimir Putin sono talmente imprevedibili e irresponsabili, come ha già dimostrato dopo l’affondo della Moskva, la principale nave della sua flotta, che nulla è escluso. Tanto più se è in difficoltà o malato o pazzo: non ci pensa due volte prima di attaccare. Per questo l’Occidente è chiamato ad essere ancora più cauto e razionale mentre spesso appare spaccato, come l’Unione europea sullo stop al gas russo e come l’Italia al proprio interno sull’invio di armi in Ucraina, con Salvini e Conte che non ci stanno.

 

E quanto ci manca oggi la Pace, quando della Nato non c’era bisogno, tanto che un europeista e atlantista convinto come il presidente francese Emmanuel Macron era arrivato a definirla «cerebralmente morta». Voleva disarmarla ma per fortuna non gli si diede seguito: oggi la resistenza Ucraina non avrebbe potuto essere la stessa. Mentre torna attuale la posizione dell’allora Presidente Usa Donald Trump che, accusato di voler abolire la Nato, chiamava invece i Paesi membri a parteciparvi con i relativi finanziamenti, pagamenti che non tutti effettuavano. Solo con sei anni di ritardo e con un conflitto in atto si è arrivati a parlare concretamente di contributo del 2% del Pil alle spese militari. Perfino la Germania del socialdemocratico Olaf Scholz quest’anno ha rotto il suo tabù in tal senso. 

Chi alla Nato ha sempre riconosciuto la sua importanza è invece il nostro Paese e c’è sempre un italiano ad aspirare a guidarla ogni volta che si rinnovano i vertici, da Franco Frattini a Matteo Renzi, fino a Mario Draghi che potrebbe succedere al segretario generale Jens Stoltenberg fra un anno, terminato il mandato a Palazzo Chigi. E in effetti con la guerra il ruolo della Nato è tornato centrale.

 

Ma sono tante le incongruenze nella gestione del conflitto. Da quando è iniziato, si è passati dalla proposta di «finlandizzazione» dell’Ucraina, che contemplava l’ingresso di quest’ultima nell’Ue ma non nella Nato, mantenendo un atteggiamento politico neutrale in cambio dell’indipendenza, alla «ucrainizzazione» della Finlandia che, abbandonando la sua storica neutralità, rischia invece di essere attaccata dalla Russia. E sebbene sia vero, come ha sottolineato a Joe Biden il presidente Draghi nella sua visita a Washington, che se Stati Uniti e Federazione Russa non si parlano sarà difficile giungere a una soluzione diplomatica, d’altro canto in tal modo si nega di fatto il diritto dell’Ucraina, che è il Paese invaso, di sedere al tavolo delle trattative, nonostante gli sforzi della comunità internazionale di riconoscere la sua integrità e la sua autonomia. Che sono i motivi per cui sul campo si combatte.

 

E siamo ormai quasi assuefatti alle immagini di guerra che arrivano dal fronte e rassegnati all’idea che le ostilità possano durare ancora a lungo. Ma tutto questo ha un costo. Umano, per le vittime che ogni giorno muoiono. Economico, per le spese in armi, per le ricadute delle sanzioni e per gli effetti del conflitto in termini di inflazione, aumento del costo dei beni energetici e di prima necessità. E sociale, per tutto quello che la crisi economica determinerà non solo come perdita di posti di lavoro e perdita di potere di acquisto per chi il lavoro riuscirà a conservarlo, ma anche come flussi migratori da quei Paesi che sono sull’orlo di una crisi alimentare per il blocco del grano nei porti ucraini. 

Anche di questo Draghi ha parlato con Biden proprio una settimana fa. Se si farà qualche passo avanti il posto alla Nato sarà suo.

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