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Il reddito di cittadinanza ha abolito solo l'onestà. Il fallimento del sostegno grillino

Benedetta Frucci
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Era il settembre del 2018 quando un Luigi Di Maio ancora nei panni del rivoluzionario si affacciava dal balcone di Palazzo Chigi annunciando che la povertà era stata abolita. Dopo 3 anni e mezzo, l’unica cosa che è stata abolita è l’onestà tanto cara a parole al Movimento Cinque Stelle.

Provate, per diletto, a fare un semplice esercizio ogni mattina: digitate su google «reddito di cittadinanza», accedendo alla sezione notizie. Vedrete che, quotidianamente, sarà riportata dalle cronache almeno una vicenda di truffa circa il famigerato sussidio.

Si va dal pusher di Novara a cui i clienti avevano consegnato direttamente la tessera del reddito per prelevare il denaro e provvedere così comodamente al pagamento delle dosi di cocaina, alla truffa di Napoli, dove da novembre 2021 ad aprile 2022 i carabinieri hanno scoperto 1204 persone che hanno percepito il reddito senza averne diritto, per un totale di 6.557.931,86 di euro sottratti indebitamente alle casse dello Stato.

 

Ma ci sono anche storie che farebbero quasi sorridere, se non fosse che a rimetterci sono gli italiani che, con le loro tasse, sono costretti a finanziare criminali e furbetti di ogni risma, come nel caso della signora che viveva ai Caraibi e tornava solo per intascare il sussidio. Altri, invece, lasciano solo una profonda amarezza, come tutte quelle storie di camorristi e mafiosi mantenuti dagli italiani attraverso il reddito grillino.

Ma quali sono i numeri di questa truffa legalizzata? Fino a qualche mese fa era tecnicamente impossibile quantificarli, mentre oggi abbiamo a disposizione qualche dato in più, anche se la realtà, probabilmente, è molto peggiore dei numeri ufficiali: secondo le cifre diffuse da Carabinieri e Guardia di Finanza, sono 174 i milioni truffati, e 123mila e 687 le richieste revocate perché false. 

 

La spesa complessiva per l’erogazione del sussidio é pari a quasi 20 miliardi di euro, mentre i numeri si abbassano notevolmente se si guarda al numero di percettori che hanno effettivamente trovato un’occupazione: solo 152.000. Segnale che il sussidio, spacciato come un mezzo per trovare lavoro ha, come prevedibile, fallito. Il nodo centrale però è che il reddito di cittadinanza è un problema soprattutto culturale.

È l’esempio plastico di uno Stato assistenzialista che non investe sul merito, sul lavoro, sulla formazione ma che rinuncia a scommettere sull’autonomia del cittadino e decide di sostenerlo con un’elemosina che è la strada più comoda e semplice per renderlo, fra l’altro, totalmente dipendente dallo Stato. Una forma di clientelismo 2.0.

 

Al contrario, uno Stato presente ma liberale, investe in decontribuzione, alleggerendo il costo del lavoro e favorendo le assunzioni; in infrastrutture, che producono nuovi posti di lavoro; in incentivi per giovani imprenditori; in formazione. E questo andrebbe fatto- e si spera sarà fatto con i fondi del Pnrr- soprattutto al Sud, dove spesso la prospettiva offerta ai giovani è quella del sussidio, o della fuga al nord. Un dramma, quello dell’emigrazione che si accompagna a quello della disoccupazione giovanile e a quello del lavoro in nero, che il reddito favorisce.

Esiste poi un altro aspetto del problema da non sottovalutare: se la scelta è tra la fatica del lavoro e il sussidio, c’è chi, ovviamente, sceglie il sussidio. Non a caso, il settore del turismo ha denunciato la mancanza di 250.000 stagionali. Un disastro annunciato.

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