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Ucraina, finisce l'unità dell'Ue su sanzioni armi e gas. Salta la linea comune

Pietro De Leo
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Dal Grande Coro alla Grande Delusione. In principio fu il peana. Mentre i carri armati di Putin avanzavano in Ucraina, nei giorni iniziali dell'invasione, ci furono due passaggi che fecero gridare al riflesso incondizionato positivo di una coesione europea ritrovata. Il primo fu l'unità di intenti attorno alle sanzioni da applicare alla Russia e l'invio di armi in Ucraina, in una identità metodologica (anche se con sfumature diverse nell'applicazione) con Stati Uniti e Gran Bretagna. E poi ci fu l'operazione di accoglienza dei rifugiati in fuga dalla guerra. In un baleno asfaltate le frizioni sul tema, plauso alla conversione sulla via di Damasco dei Paesi di Visegrad, Polonia soprattutto, in primissima nella enorme prova di solidarietà. I distinguo sulla politica anti russa opposti da Orban, che nel frattempo ha ri-vinto le elezioni, derubricati ad una sorta di perenne e ben identificabile anomalia.

Ora, però, dopo un mese il quadretto del Paradiso mostra le prime macchie. Perché quella che sembrò un'inscalfibile sinergia comincia ad accusare la diversità di linee politiche e, soprattutto, i contraccolpi sulle economie interne che già la crisi delle materie prime ha generato e che potrebbero diventare devastanti in caso di blocco forniture di gas dalla Russia. Gli elementi di criticità si configurano su due aspetti, legati tra loro. C'è quello economico, racchiuso nelle stime del Fondo Monetario Internazionale, e vede i Paesi del Vecchio Continente (Germania e Italia su tutti, essendo dipendenti dalla Russia sul piano energetico) pagare in misura maggiore le conseguenze della guerra in termini di Pil. E poi c'è il dato politico, con l'Europa di fatto del tutto marginale, per non dire inesistente, nel difficilissimo percorso di negoziato che vede invece il protagonismo della Turchia, con la Cina sullo sfondo.

Insomma, la costruzione della Pace affidata a delle dittature. E dunque risulta assai azzeccata la fotografia del presidente francese Macron che incontrando alcuni giornalisti ha affermato: «spetta a noi europei costruire la pace sul nostro suolo». Solo che questo non sta avvenendo. Dopo oltre un mese di sanzioni e di invio armi al Vecchio Continente spettano solo le conseguenze dolorose.

E dunque si vanno delineando due scuole. C'è quella più realista, capitanata dal cancelliere tedesco Scholz, che ha tirato un sonoro colpo di freni all'ipotesi di sanzioni sul gas, pensando all'economia interna, incontrando un certo consenso da Parigi. E c'è la linea che si identifica in tutto e per tutto con il pugno duro degli Stati Uniti, incarnata dal premier italiano Mario Draghi. questo, cointravvederle scelte adotcomunitario ed il peso di quelle non adottate.

La Commissione Europea ha inviato una comunicazione agli Stati membri con cui avvisa che aderire al meccanismo fissato dalla Russia sul doppio conto euro-rubli per l'acquisto di gas potrebbe comportare la violazione delle sanzioni. L'azienda tedesca Eon risponde picche e da lì Bruxelles si avvita sull'interpretazione della norma. Tante aspettative sulle misure da intraprendere sono rimaste, finora, appese: dal tetto al prezzo del gas agli acquisti centralizzati, dal Pnrr di guerra sino a misure più incisive sull'agricoltura, come uno sblocco più sistematico dei terreni coltivabili. Insomma, un ritardo vero, che segna un nuovo affanno nel processo di integrazione comunitaria. 

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