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Contro il populismo Letta fa il populista: "Cambiare l'Europa e aumentare i salari"

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Tommaso Carta
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È un doppio binario quello che porta all’uscita dalla crisi Russo-Ucraina, da una parte, e alla sconfitta del populismo, dall’altra. Enrico Letta lo spiega in un doppio intervento sui quotidiani partendo dall’assunto che la guerra è il risultato dell’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina. Un presupposto fondamentale perché, nella drammaticità dell’evento, mette in evidenza tutti i limiti della costruzione europea e la necessità di fare un «salto di livello» nel processo d’integrazione. Quelle che ha in testa Letta sono «sette unioni Europee». Quella di difesa, quella di sicurezza, quella dell’energia, quella della politica estera, quella della salute, quella dell’accoglienza, quella «allargata» ai vicini (come Moldavia, Georgia e la stessa Ucraina). Una prospettiva, quasi un «manifesto politico», che suscita entusiasmo dello stato maggiore del Pd: «Enrico Letta racconta un viaggio in sette tappe per la costruzione di una nuova Europa più forte e unita che può fare il definitivo salto di qualità. L’Europa che abbiamo sempre sognato», scrive su Twitter la presidente dei senatori demi, Simona Malpezzi.

 

«Il segretario Letta indica un orizzonte partendo dalle elezioni francesi e offre un vero e proprio manifesto politico. Noi diciamo andiamo avanti, ancora più Europa davanti alle crisi drammatiche. La destra dice il contrario», osserva Francesco Boccia, responsabile Enti Locali del Partito Democratico, che aggiunge: «Siamo a un bivio nella storia e da questo bivio usciamo con una Europa più forte».

Per percorrere il binario, occorre però una nuova locomotiva più veloce: le regole europee come le conosciamo oggi, avverte Letta, non sono sufficienti a garantire questo percorso. Vanno riformate a partire dall’eliminazione del voto all’unanimità per sostituirlo con quello a maggioranza. La crisi russo-ucraina, per il segretario dem, è il risultato di questo vulnus: Letta ricorda spesso come le sanzioni alla Bielorussia siano state bloccate dal «niet» di Cipro, per ragioni di interessi nazionali. Putin, è la tesi di Letta, ha preso l’iniziativa in Ucraina convinto di trovare una Europa bloccata da veti e controveti, incapace di reagire. Così non è stato, però. E questo deve rappresentare, per il leader del Pd, una spinta motivazionale ad intraprendere le riforme. Nell’immediato, tuttavia, le priorità sono due: pace in Ucraina e interventi, in Italia, per evitare la terza recessione in dieci anni. Sul primo punto, la proposta del segretario Pd è quella di interrompere lo schema «Occidente contro resto del mondo». L’Europa deve farsi promotrice del dialogo con Cina, India e Turchia, anche a costo di scontentare gli Stati Uniti. «Credo ci siano le condizioni per trovare una soluzione», dice Francesco Boccia, «ma il tema di fondo è che i carri armati erano arrivati a Kiev, quindi è evidente che tutti devono fare un passo indietro, e le dichiarazioni di Biden non hanno aiutato» in questo senso.

 

«L’Europa che si fa guidare dagli Stati Uniti rischia di non chiuderla mai questa vicenda», sottolinea ancora il responsabile Enti Locali del Pd. Sul secondo punto, occorre fronteggiare una crisi economica e sociale che rischia di mettere benzina nel serbatoio del populismo in Europa. Il caso francese, con la crisi dei grandi partiti liberali e progressisti, è perfettamente sovrapponibile a quanto accade in Italia. Bisogna, per Letta, fermare il travaso di voti nelle forze populiste che approfittano del disagio sociale. Per farlo si può agire immediatamente immettendo risorse nelle tasche dei ceti che più pagano la crisi, detassando gli aumenti dei prossimi rinnovi contrattuali. Questo, continuando a perseguire - come stanno facendo Draghi e il ministro Di Maio - una politica di differenziazione degli approvvigionamenti energetici che possa mettere l’Italia al sicuro dallo shock causato dal conflitto in Ucraina e anche dalle sanzioni contro la Russia. Sul lungo periodo, però, l’Italia deve percorrere la strada che porta alla piena indipendenza energetica. Non certo con la riattivazione delle centrali a carbone, ma attraverso lo sblocco dei progetti sulle rinnovabili.

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