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Diplomatici russi espulsi, dietro la decisione c'è l'ombra dello spionaggio

Riccardo Mazzoni
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L’espulsione di trenta diplomatici russi dall’Italia segna una crisi nei rapporti tra i due Paesi che non si era verificata nemmeno durante la Guerra Fredda, quando il culmine della tensione fu raggiunto a causa dell’installazione dei missili Pershing e Cruise a Comiso.

La decisione, concordata con i maggiori partner europei e atlantici, è legata a ragioni di “sicurezza nazionale”, ed è proprio questa motivazione ad aprire scenari allarmanti sulla rete di spionaggio che Mosca ha steso su un Paese la cui posizione, anche dopo la caduta del Muro di Berlino, resta strategica per il ruolo storico di ponte verso il Mediterraneo, dove non a caso il mese scorso è stata segnalata la presenza di un sottomarino nucleare russo.

La politica espansionistica di Putin è stata pianificata da anni, e necessita di terminali, connessioni e appoggi, soprattutto in Europa, per alimentare la disinformazione, condizionare le politiche, seminare il caos e reclutare agenti. I diplomatici espulsi sono considerati a tutti gli effetti funzionari dei servizi segreti che operavano dietro l’usbergo dell’immunità diplomatica per destabilizzare l’Italia.

Tutto fa pensare, insomma, che l’arresto, un anno fa, dell’ufficiale della Marina accusato di passare documenti segreti a Mosca - fra cui alcuni appunti riservati della Nato sulla crisi tra Russia e Ucraina – sia solo la punta di un iceberg molto più complesso e articolato, e la crisi diplomatica esplosa ieri getta un’ulteriore, inquietante ombra sulla missione “sanitaria” in Italia concordata da Conte con Putin all’inizio della pandemia, nel marzo di due anni fa.

Una missione che il generale Portolano, allora alla guida del Comando Operativo Interforze, definì “anomala” da ogni punto di vista, sia perché nella delegazione sbarcata a Pratica di Mare c’erano solo 28 tra medici e infermieri nella lista di 104 nomi - mentre tutti gli altri erano militari - sia per la pretesa di entrare negli uffici pubblici e in tutte le sedi a rischio “sulla base di un accordo politico di altissimo livello”.

Sembra dunque concretizzarsi il sospetto che Conte abbia superficialmente autorizzato una delle più grandi operazioni di spionaggio in un Paese occidentale, tempestivamente arginata dalla nostra intelligence, insospettita da un dispiegamento di mezzi che apparve subito sproporzionato. Preoccupazioni che alla luce degli ultimi avvenimenti appaiono più che fondate, e avvalorate dalle recenti minacce dell’ex console russo a Milano Paramonov - peraltro insignito di importanti onorificenze all’epoca dei due governi Conte – il quale oltre a minacciare l'Italia di "conseguenze irreversibili" se adotterà altre sanzioni, ha definito il ministro Guerini l'"ispiratore" della campagna antirussa in Italia.

Su questi incroci obliqui grava anche l’ombra di presunti accordi segreti che Mosca sarebbe pronta a diffondere e che terrebbe in serbo come arma di ricatto. Una vicenda dunque potenzialmente esplosiva, su cui il Copasir ha il dovere di andare fino in fondo, e che tocca il nervo scoperto dei rapporti con Mosca. La guerra è diventata inevitabilmente il nuovo, dirompente elemento di frattura della politica italiana, che coinvolge destra e sinistra ma che rischia di far implodere soprattutto i Cinque Stelle, al cui interno diventa sempre più forte la contraddizione tra il rigoroso occidentalismo di Di Maio, che mette il suo timbro sull’espulsione dei diplomatici russi, e il suo leader Conte che invece si scaglia contro il “vetero-atlantismo di stampo fideistico che, unito a un oltranzismo bellicista, rischia di portare altri guai a noi e ai nostri alleati”. Due posizioni palesemente inconciliabili e destinate a deflagrare in modo definitivo se la guerra con i suoi orrori, come appare purtroppo probabile, imporrà scelte sempre più nette, che non lasceranno spazio alle ambiguità parapacifiste.

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