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Legittimo l'invio di armi dell'Italia all'Ucraina: va difeso un paese aggredito

Riccardo Mazzoni
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L'invio da parte dell'Italia di dispositivi per l'assistenza alla difesa dell'Ucraina potrebbe porre problemi sotto il profilo costituzionale perché gli aiuti militari all'esercito di Kiev presuppongono una sorta di coinvolgimento fra le parti in conflitto. Ma il precedente dell'intervento Nato in Kossovo nel 1999, e quella volta fu l'allora vicepremier Mattarella a spiegare in Parlamento che la partecipazione italiana all'intervento militare non era in conflitto con l'articolo 11 della Costituzione, che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Fu il governo D'Alema ad autorizzare, su richiesta della Nato, lo sconfinamento dei nostri aerei militari sulla Serbia, negando che fossero impegnati in missioni reali di bombardamento, ma solo di «difesa integrata» e attiva del territorio nazionale. In sostanza, l'intervento in Kosovo fu giustificato come un intervento umanitario per porre fine alla pulizia etnica operata dal regime di Milosevic, anche se era privo dell'autorizzazione delle Nazioni Unite, vulnus sanato solo successivamente da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Mattarella, chiamato a riferire in Parlamento poche ore dopo l'inizio del conflitto, specificò che le operazioni di bombardamento avevano avuto soltanto obiettivi militari, aggiungendo che gli aerei italiani si erano alzato in volo solo per misure di difesa. «Nessun governo democratico - affermò - può trovare piacevole la prospettiva di iniziative militari, chiunque ne sia protagonista e dovunque esse si svolgano.

 

 

La prospettiva di atti di guerra, di danni e di vittime per chi ha sensibilità umana e democratica è tale che non si dovrebbe mai vederla realizzata» ricordando gli sforzi diplomatici condotti con la più grande determinazione e convinzione, ma inutilmente. Per giustificare la legittimità della partecipazione italiana, Mattarella spiegò che il ruolo della Nato - alleanza militare con natura esclusivamente difensiva - era in forte evoluzione dopo la fine della Guerra fredda, avendo assunto progressivamente anche un ruolo nella gestione delle crisi internazionali riconosciuto anche dall'Onu. Per questo complesso di ragioni, la messa a disposizione delle basi Nato in Italia andava vista nell'ottica della «difesa collettiva», secondo l'articolo 5 del Patto atlantico, ma anche per missioni fuori area, in attuazione dell'articolo 3 ratificato dal Parlamento, mirando a garantire la salvaguardia della sicurezza comune. In questa chiave, il governo aveva autorizzato, attraverso il cosiddetto trasferimento di autorità, la messa a disposizione dell'Alleanza di 42 velivoli della nostra Aeronautica militare.

 

 

Ventitré anni dopo Nato e Unione europea sono mobilitate per un'altra missione bellico-umanitaria, anche se questa volta indiretta, per supportare la resistenza ucraina all'aggressione russa con migliaia di armi anti-carro, centinaia di missili per la difesa aerea e altre migliaia di piccole armi e rifornimenti di munizioni. Anche il governo italiano, in linea con l'orientamento comunitario, sta definendo in queste ore l'invio a Kiev di materiale bellico, per il quale servirà l'autorizzazione del Parlamento. Un passaggio che non dovrebbe comportare problemi né politici né di carattere costituzionale: l'intervento alle Camere di Mattarella in occasione della guerra del Kossovo fa in questo senso dottrina.

 

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