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Niente elezioni anticipate, pure se Mario Draghi andrà al Quirinale

Pietro De Leo
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Senatore Marcucci, dopo quella che è stata letta come una sostanziale autocandidatura di Draghi per il Quirinale, lei è stato il più esplicito nel Pd nel mettere in fila i problemi. Cominciamo dalla questione forse principale: è la tomba della legislatura?
«Esiste solo l'interesse del Paese. Con l'Omicron che avanza, e le riforme europee da avviare, parlare di elezioni anticipate, è totalmente da irresponsabili. Qualsiasi cosa avvenga, la legislatura deve finire naturalmente ed il controllo da Palazzo Chigi deve essere saldo, esattamente com'è stato durante l'ultimo anno. Chi ipotizza, magari segretamente, elezioni in primavera, facendo calcoli di bottega su eventuali dividendi in percentuale, fa correre un rischio enorme al Paese».

Qual è un'altra figura che potrebbe raccogliere la missione di tenere insieme l'unità nazionale? Si parla di Daniele Franco, Marta Cartabia o Giancarlo Giorgetti...
«Partiamo dalla realtà. Fino ad oggi, l'unità nazionale ed una maggioranza istituzionale larga e complessa, è stata tenuta insieme soprattutto da una persona, e quella persona è Mario Draghi. Una sua eventuale successione a Palazzo Chigi, dovrebbe essere definita fin nei dettagli da un accordo complessivo dei leader della maggioranza. Ripeto, non si può correre il rischio di future fughe in avanti o in indietro. Niente scherzi, l'Italia vive una fase delicatissima e non può permettersi salti nel buio. Dopo Draghi insomma, dovrebbe subentrare Draghi».

 

 

Poi c'è la questione legge elettorale, come da lei indicato. Al momento quale modello vede più plausibile?
«Altra questione, purtroppo sottovalutata. Il Rosatellum unito alla riforma che ha tagliato il numero dei parlamentari, crea una ferita molto grave alla democrazia, lasciando molti territori senza rappresentanza. Non è un caso che quando nacque il governo Conte bis, tra le condizioni che avevamo posto, c'era il cambiamento del sistema elettorale. Io sono per l'adozione di una legge proporzionale con soglia di accesso al 5%, ed avverso l'idea che viene attribuita ad Enrico Letta e Giorgia Meloni, di un ritocco maggioritario. Al Pd, colpevolmente, non se ne è più parlato. Io credo che invece la legge elettorale sia una vera e propria emergenza democratica, da cambiare assolutamente».

E sul Quirinale, invece, quale potrebbe essere un nome alternativo a quello dell'attuale premier?
«Non è una questione di nomi, è ovvio che ci sono tante donne ed uomini all'altezza di un incarico così prestigioso e delicato. E sottolineo: soprattutto tante donne».

Il centrodestra, che ha sicuramente la golden share, ha un nome in campo, Silvio Berlusconi, che potrebbe far leva sullo scenario «liquido» nei partiti dalla quarta votazione in poi. Condivide?
«Silvio Berlusconi, se vorrà, ha il diritto di provarci e di contarsi. Certamente, in quel caso, noi di centrosinistra sicuramente non usciremo dall'aula, come qualcuno ha maldestramente ipotizzato. Io credo che al Quirinale serva una persona al di sopra delle parti, mentre il leader di Forza Italia rappresenta soprattutto una parte».

 

 

Quanto a Draghi, è tassativo che sia un nome su cui chiudere alle prime tre votazioni?
«Ho grande stima e rispetto del Presidente del Consiglio, per i ruoli importanti che ha svolto nella sua vita professionale, e per la sua esperienza di Governo. Naturalmente il suo nome dovrebbe essere il primo».

Dalle reazioni di martedì, sembra sia incappato in una specie di nemesi. Come Presidente del Consiglio lo vogliono tutti, come Presidente della Repubblica pare non lo voglia quasi nessuno. Lei che ne pensa?
«È indubbio che serva al Paese molto di più a Palazzo Chigi e questo è un fatto incontrovertibile. Abbiamo esattamente un mese di tempo per trovare un accordo complessivo che abbia al primo posto la salvaguardia degli interessi del Paese».

 

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