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SuperMario o il Cavaliere? Parte la gara per il Quirinale

Franco Bechis
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E alla fine incespica perfino lui, Marco Damilano, direttore dell’Espresso e autore del bel volume «Il Presidente» che per la La Nave di Teseo è arrivato in libreria con l’argomento giusto al momento giusto. Racconta in modo anche appassionante e spesso come fosse una spy story (lo è stata) la storia delle elezioni di tutti i presidenti della Repubblica italiani. Gustosi retroscena, episodi riportati alla memoria con particolari che si erano perduti nel tempo e diventano di grande attualità. E poi, ecco dove si rischia ancora più di cadere, quasi di annegare: l’ultimo capitolo, il «Drag King» (bel titolo) che però fa girare la testa al lettore e sembra quasi anche allo scrittore, portandolo per curve e tornanti che imboccano prima una direzione e poi l’altra rischiando appunto la caduta. 

Dovendo raccontare il Presidente che ancora non c’è che dovrà essere eletto dal Parlamento più incerto e inaffidabile che si sia mai avuto, anche un esperto navigatore della politica come Damilano non sa che rotta prendere. E le cita un po’ tutte, alla fine credendo che la principale possa essere quella del Drag King. Ma certo anche quella a una condizione: «In Parlamento, oggi, sarebbero in molti pronti a votarlo come presidente. A patto, ovviamente, che poi la legislatura prosegua», scrive il direttore dell’Espresso. Che non è patto così semplice, perché senza Draghi premier tenere insieme la maggioranza innaturale che lo sostiene sarebbe quasi miracoloso, visto che più prima che poi tutti avrebbero bisogno di distaccarsene per giocarsi una chance altrimenti assai ridotta nelle urne. Così pur portando ogni tornante a sfiorare qualsiasi possibile approdo, alla fine anche Damilano fa passare la strada diritta per una soluzione che sembrava solo poco tempo fa assai fantasiosa, ma che invece prende forma e consistenza divenendo realistica ogni giorno di più: quella di Silvio Berlusconi. «L’ex premier ci crede», annota Damilano che certo non è tifoso dell’ipotesi, ma la riporta da acuto cronista politico, «dopo le elezioni amministrative è tornato in campo, aiutato anche da un’assoluzione in un ramo del processo cosiddetto Ruby-ter, in cui era accusato di aver pagato il silenzio dei testimoni. Si è fatto fotografare con Angela Merkel in uscita dalla Cancelleria, ha ripreso i contatti italiani e internazionali. Prova a costruire la maggioranza del quarto voto, quando il quorum, si abbassa, mettendo in pratica un'altra regola fissa delle elezioni presidenziali, la trasversalità del candidato. Berlusconiani di complemento sono presenti in tutti i partiti e nell’affollato gruppo misto di Camera e Senato...». Poi Damilano fa capire che anche di antiberlusconiani sono zeppi i gruppi, e se i numeri per lui non si raggiungessero, allora sarebbe spianata la strada per Draghi. Il tema è azzeccato, perché al momento la sfida per il Quirinale sembra essere ridotta proprio a quei due. Su Draghi pesa l’incertezza dello scioglimento delle Camere non trovando soluzioni per fare andare avanti un governo che è stato tagliato come un vestito di sartoria su un solo premier possibile. Per Berlusconi certo nel segreto dell’urna gioca a favore proprio la stessa incertezza: il rischio per parlamentari alla prima legislatura (oltre i due terzi) di non arrivare alla fatidica data che darà loro diritto alla pensione, e la perdita di oltre 100mila euro di stipendio fino alla fine della legislatura per tornare all’amarezza della disoccupazione in cui si viveva prima. E naturalmente peseranno proprio su quel nome le vendette segrete fra gruppi divisi, che potrebbero votare nella garanzia dell’anonimato proprio quel candidato che verrebbe rinfacciato in pubblico agli ex amici ora divenuti acerrimi nemici. Partita quindi apertissima. Fra quei due.

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