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Massimo D'Alema sdogana i talebani: "Sbagliato definirli terroristi". Riecco la solita sinistra

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Riccardo Mazzoni
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Non poteva mancare, nel ventesimo anniversario delle Torri Gemelle, la dotta lezione di D’Alema sugli errori dell’Occidente nei rapporti con l’Islam. I titoli certo non gli mancano, essendo stato prima l’unico premier postcomunista italiano e poi ministro degli Esteri nel governo dell’Unione, e gli va anche riconosciuta una pervicace coerenza nel restare aggrappato ai dogmi ideologici della vecchia sinistra. Sostiene infatti D’Alema che "i Talebani sono un movimento fondamentalista, violento e intollerabile per i comportamenti contro le donne e contro le minoranze, ma credo sia sbagliato definirli un gruppo terrorista. L'Isis è un gruppo terrorista, i Talebani invece sono un movimento politico, come Hezbollah e Hamas. Definirli terroristi è una stupidaggine".

Ora, in questo ragionamento traballante c’è da chiedersi quale sia la vera stupidaggin. Come spiega infatti D’Alema la spiacevole circostanza che il mullah Mohammad Hasan Akhund, nominato primo ministro ad interim del nuovo governo afghano, figuri nella lista Onu di persone considerate come “terroristi o associati a terroristi”? E che Sirajuddin Haqqani, il regista della campagna di attentati che ha sconvolto Kabul per anni, e sulla cui testa l’Fbi ha messo una taglia da cinque milioni di dollari, sia diventato primo ministro? Misteri dalemiani, ma non troppo, perché la sua dottrina di politica estera non è mai cambiata: in un convegno a Milano del 2007, ad esempio, l’allora ministro degli Esteri spiegò così la posizione del governo: “Non si può sconfiggere il terrorismo dichiarandogli guerra” - disse - perché la guerra si dichiara alle nazioni. Il terrorismo è un fenomeno asimmetrico, non si può mettere sullo stesso piano Hezbollah e Al Qaeda”.

In effetti, l’unico politico occidentale che si era fatto immortalare in una passeggiata a Beirut a braccetto con Nasrallah, leader del movimento estremista sciita, non avrebbe potuto dire altrimenti, ma così facendo aprì un vulnus nei rapporti fra Italia e Israele, perché Hezbollah, proprio come Al Qaeda e Hamas, ha come obiettivo strategico la cancellazione dello Stato ebraico della faccia della terra. Una posizione ribadita perentoriamente quando nel 2018 Salvini, in visita nel nord di Israele, definì “terroristi” i militanti di Hezbollah: “Definizione superficiale – chiosò D’Alema – perché per terrorismo islamico noi intendiamo organizzazioni di matrice salafita o wahabita”.

Quindi, secondo la sua lettura, non esisterebbe un terrorismo sciita. Ma c’è un grande equivoco – o, peggio una enorme mistificazione storica – alla base di queste distinzioni artefatte tra fondamentalismo buono e cattivo: ossia che il rifiuto islamico di Israele sia basato solo su un contenzioso nazionalista, mentre è intrecciato indissolubilmente con un contenzioso religioso che impone la distruzione di Israele. E quando D’Alema, per negare che i talebani siano dei terroristi li paragona ad Hamas, finge di dimenticare che Hamas, pur governando Gaza, è un’organizzazione terroristica che ha nel suo statuto proprio la cancellazione dello Stato di Israele.

Eppure, per quella sinistra vicina da sempre all’estremismo palestinese, in Medio Oriente nessuna pace sarà possibile senza trattare con Hamas. Ma Hamas non potrà mai essere una parte della soluzione, visto che è essa stessa il problema, perché negando ad Israele il diritto di esistere nega le precondizioni di qualsiasi processo di pace. Quello di D’Alema è un sillogismo del tutto illogico, dunque, contraddetto dalla preoccupazione globale che il ritorno dei talebani a Kabul segni anche la ripresa in grande stile del terrorismo islamico.

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